martedì 18 novembre 2014

17^ LEZIONE DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO.

In questa lezione parleremo di negozi invalidi, di interpretazione del negozio giuridico, di divergenza tra volontà e manifestazione e dei vizi della volontà.

Un negozio giuridico, quando manchevole di un suo punto, è invalido. La dottrina moderna riconosce due tipi di invalidità:
1-     Nullità, quando il difetto dell’elemento essenziale è così grave che non sorge alcun negozio (c’è solo apparenza), il negozio è NATO MORTO. Esso è NULLO. È INEFFICACE, non produce alcun effetto. Si può chiedere una sentenza di accertamento di nullità; tale azione è imprescrittibile. La nullità del negozio può essere valutata d’ufficio dal giudice, ovvero, da solo può dichiarare ed accertare la nullità di quel negozio. Se per ipotesi Tizio avesse già pagato, si può chiedere la restituzione dell’indebito. Tuttora la nullità è presente nel nostro codice (artt. 1418, 1325, 1345, 1346)

a.     ILLICEITA’, una delle possibili cause di nullità. Si ha quando uno degli elementi del negozio viola:

                                               i.     Una norma inderogabile,

                                             ii.     I boni mores (buoni costumi). Un sicario che si impegna ad uccidere una persona, per esempio, è caso di ILLICEITA’. Si applica il principio di “prestazione contraria al buon costume” (IN PARI CAUSA TURPITUDINIS MELIOR EST CONDICIO POSSIDENTIS, cfr. art. 2035). Chi ha eseguito una prestazione che costituisca offesa al buon costume, non può ripetere quanto ha pagato. AD ESEMPIO: assoldo un sicario per 1000€, quello uccide, io richiedo i miei 1000€ indietro…ma non posso! Perché io stesso farei valere la mia illiceità.

2-     Annullabilità, forma meno grave della nullità. Il negozio ha dei vizi non molto gravi, nasce ammalato. Produce i suoi effetti fino a che non dovesse intervenire una sentenza di annullamento, che fa cessare retroattivamente (la sentenza è COSTITUTIVA) gli effetti (EX TUNC, si dice, cioè DA ALLORA). Quest’ultima cosa si verifica solo se un terzo non ha diritti con buona fede su quel negozio.
OGGI: il contratto è annullabile se c’è incapacità delle parti (art. 1425) e in caso di vizi del consenso [art. 1427] (errore, violenza e dolo).

I romani conoscono solo la nullità. Per i romani quando un negozio gravemente viziato è NULLO. L’idea della annullabilità è nata dallo studio di queste fonti. Si studierà che spesso per il diritto civile un negozio ha effetto, mentre per il diritto pretorio può essere bloccato. Dolo e violenza, infatti, avranno espressione con l’annullabilità.

L’INTERPRETAZIONE DEL NEGOZIO GIURIDICO
È l’attività più importante, il negozio ha bisogno di un’interpretazione. Il linguaggio umano è spesso ambiguo: c’è bisogno di attribuire il significato più corretto. Il negozio, infatti, è una volontà dichiarata (espressa), è una dichiarazione di volontà. Certe volte succede che le parti non si esprimano in modo chiaro, ovvero dichiarano qualcosa che non è perfettamente uniforme a ciò che voglio: questo porta spesso a litigi. Ci vuole un interprete.
Dove c’è qualcosa che è espresso senza ambiguità, non c’è bisogno di interpretazione (anche se la chiarezza è frutto di interpretazione). Il diritto romano parte da una formalità di base, che non permetta ai soggetti di litigare (e che quindi lasciava poco spazio alla interpretazione). Si dava, quindi, maggior peso alle parole.
A partire dal II secolo d.C., ovvero quando Roma comincia ad entrare in contatto col mondo greco, i romani approfondiscono l’interpretazione, dando maggior peso alla VOLUNTAS. Essi cominciano, quindi, a ricercare la vera volontà, soprattutto perché nell’arco di tempo trascorso si sono sviluppati negozi NON formali.

1)     INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA: è quella con la quale l’interprete cerca di ricostruire la volontà effettiva. L’interprete cerca di “andare dietro” alle parole, con vari criteri: logici, sistematici…tenendo, anche, conto delle loro intenzioni, accordi e i modi di esprimersi dei contraenti (si dice “comune intenzione”). È logico che se la comune intenzione non persiste, c’è un problema.

2)     INTERPRETAZIONE OGGETTIVA: quando l’interprete non riesce a capire quello che volevano. Dovendo dare un senso a quel negozio, cerca la “volontà tipica-presunta”. Anche qui ci sono una serie di criteri:
a.     Secondo gli usi;
b.     Contra STIPULATOREM;
c.     Secondo buona fede;
d.     Principio di conservazione.

Nel testamento si esprime una sola persona. Quando si verifica questo, posso andare a cercare ancor più approfonditamente la sua volontà.
In conseguenza dell’interpretazione si possono ottenere tre risultati:
  1. Si determina il contenuto del negozio, eventualmente integrandolo o correggendolo;
  2. Non si riesce a determinare il contenuto: il negozio non è produttore di effetti;
  3. Si accerta una divergenza fra volontà e manifestazione. In questo caso si pone il problema se dare prevalenza alla dichiarazione, in nome della certezza delle situazioni giuridiche, oppure alla volontà, in considerazione di ragioni equitative.
DIVERGENZA TRA VOLONTA’ E MANIFESTAZIONE
Consapevole:
1)     Riserva mentale (concludo un contratto, ma dentro di me non lo voglio);
2)     Simulazione (le due parti dichiarano qualcosa che non vogliono)
a.     Assoluta, dichiarazione di volontà di un certo contratto (in realtà non è vero):
                                               i.     Il negozio dichiarato è nullo.
b.     Relativa, voglio un negozio diverso da quello dichiarato:
                                               i.     È nullo, perché non vi corrisponde una volontà; posso volere dare rilievo al negozio sottostante (dissimulato).
I romani non hanno teorizzato la simulazione. Ciò che sta sotto ha efficacia solo nella misura in cui non ci sia alcuna legge che lo vieti.
Io voglio donare qualcosa a mia moglie; faccio finta che sia compravendita. Questa non vale perché non è voluta e il dono non è valido perché era vietato fare donazioni tra marito e moglie.
Inconsapevole:
La parte esprime qualcosa ma vuole qualcosa d’altro (è un errore, uno sbaglio). Si parla di ERRORE OSTATIVO, ignoranza di una circostanza dalla quale dipende la decisione del soggetto di concludere il negozio. È causata da una distrazione, dall’ignoranza di una lingua o dei costumi del luogo.
Questo soggetto è inconsapevole, potrebbe aver bisogno di una tutela.

VIZI DELLA VOLONTA’
1)     ERRORE VIZIO: è uno sbaglio che ti porta a volere il negozio (quello che tu dichiari corrisponde a quello che vuoi). Però si è arrivati a volere quello, tramite un processo della formazione della volontà in cui si è inserito un errore. La mia volontà è VIZIATA da un errore (io voglio un anello pensando che sia d’oro. Scopro che è di bronzo. La mia volontà si è creata tramite uno sbaglio). Sono fattispecie molto diverse. Errore ostativo e vizio nel nostro ordinamento sono trattati congiuntamente con l’annullabilità.

2)     VIOLENZA MORALE: la minaccia attuale e seria di un male grave alla persona od ai suoi familiari genera timore che induce a compiere un negozio, che altrimenti non si sarebbe concluso o si sarebbe concluso a condizioni diverse. NON RILEVABILE. In un secondo momento si avrà anche la RESTITUTIO IN INTEGRUM.

3)     DOLO: in conseguenza di un inganno, un soggetto conclude un negozio che non avrebbe altrimenti concluso o lo conclude a condizioni notevolmente più gravose. NON RILEVABILE. Per quanto riguarda i negozi più nuovi c’è la clausola EX FIDE BONA. Possono essere rilevati solo in questo caso. È il pretore che a partire dal II secolo comincia a paragonare questi errori a DELITTI (introduce azioni penali ed eccezioni).  AZIONE PER PUNIRE; ECCEZIONI PER BLOCCARE NUOVI EFFETTI; LA RESTITUTIO IN INTEGRUM PER RIAVERE CIO’ CHE E’ ANDATO PERDUTO.

Tale distinzione fra vizio errore ostativo ed errore vizio non esiste DOGMATICAMENTE nel diritto romano. Considerano inutile e quindi nullo ogni negozio a forma libera (non per i negozi formali). Se veniva provato che l’autore era stato indotto a negoziare da una falsa cognizione della situazione di fatto, il negozio era POCO SERIO (nullità).
DIFFERENZA: nel nostro ordinamento abbiamo l’annullabilità (se riconoscibile ed essenziale), nel romano c’era la nullità.
L’errore rilevava solo se:

1)     Era scusabile, cioè non grossolano, tale da potersi ragionevolmente tollerare in una persona di normale diligenza ed intelligenza;

2)     Era essenziale, cioè che investa il negozio in uno dei suoi aspetti essenziali (senza l’errore il negozio non sarebbe stato concluso):

a.     In negotio (le parti non si capiscono);
b.     In corpore (sull’oggetto del negozio);
c.     In substantia (fa riferimento alla composizione materiale dell’oggetto: ad es. anello d’oro che in realtà è di bronzo -- > su questo i romani non erano molto d’accordo);
d.     In persona (sulla controparte negoziale, sono negozi “INTUITUS PERSONAE”, la fiducia è essenziale). 

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