domenica 5 aprile 2015

5^ LEZIONE AGGIUNTIVA DI DIRITTO PRIVATO.

La capacità giuridica si perde solo ed esclusivamente con la morte. La capacità di intendere e di volere, invece, non viene stabilita dal legislatore: è la capacità di rendersi conto delle cose (giuridicamente non definita). La capacità d’agire fa venir meno un elemento che incide sulla perfezione dell’atto: tanto è vero che negli articoli 1425 e seguenti si trovano le incapacità delle parti e i vizi del consenso. La capacità di intendere e di volere non è predeterminata: occorre fare un indagine per capire se il soggetto intendeva o meno porre in essere l’atto che ha effettivamente posto in essere.
Le obbligazioni naturali sono legate alla capacità naturale del soggetto: il soggetto può essere in grado di legarsi ad una obbligazione a prescindere dal suo stato giuridico di fatto. Poiché quasi sempre un’obbligazione naturale assomiglia ad un’attività di tipo negoziale, viene richiesta la capacità legale d’agire.
Mentre la capacità legale è espressamente prevista (artt. 1425-1426), la capacità di intendere e di volere è contenuta nel libro primo, laddove si parla della soggettività delle persone. Mentre il 1425 ha una connotazione all’interno del negozio giuridico e della specie contrattualistica, il 428 si applica a tutte le attività del soggetto.
Le due grandi famiglie dell’annullabilità sono:
-        Incapacità delle parti;
-        Vizi del consenso (errore, violenza, dolo).
La legale incapacità di contrattare proviene da cause stabilite dalla legge o da provvedimento giudiziario: i minori di anni 18 non hanno capacità legale d’agire. Stabilisce il giudice con provvedimento giudiziale che lo:
-        Interdetto (in toto)
-        Inabilitato (la compressione della capacità legale è parziale)
-        Sottoposto ad amministrazione di sostegno
ha limitazione di capacità d’agire. Le conseguenze giuridiche dell’interdizione o dell’inabilitazione sono stabilite dalla legge (TOTALMENTE privato dalla capacità legale e solo parzialmente), nella amministrazione di sostegno, invece, è il giudice che decide tramite provvedimento. L’inabilitato è tale fino a quando il giudice non si ri-pronuncerà, nell’amministrazione di sostegno in maniera elastica, il giudice stabilisce:
-        La durata dell’amministrazione di sostegno;
-        Con decreto pronunciato dal giudice, vengono elencati gli atti che l’amministratore dovrà compiere in luogo dell’amministrato, oppure quegli atti che l’amministratore deve compiere in concorrenza con l’amministrato, o ancora quegli atti che l’amministrato può compiere da solo.
In questo ultimo caso l’amministrazione di sostegno si modella in base ad esigenze pratiche. Questo provvedimento giudiziale è una pronuncia di un giudice che, a seguito di un procedimento di interdizione e inabilitazione, si affida ad un consulente medico (Consulente Tecnico d’Ufficio, CTU), il quale stenderà una relazione. Sulla base di questa CTU il giudice prenderà la decisione più opportuna per il soggetto (interdizione – inabilitazione, in cui gli atti di ordinaria amministrazione sono concesso all’inabilitato). Questi provvedimenti vengono anche annotati nel registro delle persone, atti di stato civile, cosicché sia noto a tutti (anche a coloro i quali volessero contrattare con tali soggetti) che la capacità di questi soggetti è limitata: chiunque voglia concludere un contratto con costoro, sa che potrebbe subire l’annullamento del contratto da parte del soggetto, dei curatori o dell’amministratore. Quasi mai questi atti possono essere non noti: chi contrae con questi soggetti dovrebbe diligentemente verificare la loro piena capacità. Il legislatore, infatti, non tutela in alcun modo chi vuole contrarre: chi va tutelato è colui che ha limitata la capacità legale. La prospettiva del legislatore è sempre quella di tutelare la parte debole.
La legittimazione ad agire per nullità è di chiunque abbia interesse; la legittimazione ad agire per annullabilità è RELATIVA, la legittimazione è in capo al soggetto cui il legislatore riconosce tale tutela: questa non è MAI del soggetto che ha piena capacità d’agire, ma del soggetto che ha totale o parziale incapacità.
L’articolo 1426 rappresenta una piccola eccezione: sono i cosiddetti raggiri usati dal minore. Questo articolo non deroga al principio per cui il legislatore tutela sempre la parte debole: ciò significa che il legislatore non tutela più chi, pur dovendo essere debole, dimostra il contrario (POSSIBILE DOMANDA D’ESAME). Non solo l’azione non è mai spettata alla controparte, ma addirittura non spetta neanche al minore, in quanto è stato abbastanza abile da far capire che non è più soggetto da tutelare.
In generale tutti i negozi giuridici, quindi anche gli atti unilaterali, o gli atti di natura non patrimoniale, possono essere annullati a norma dell’articolo 428 se il soggetto che li ha compiuti si trovava in stato di incapacità di intendere o di volere per cause permanenti oppure transitorie.
AVENTE/DANTE CAUSA: si parla di passaggio, trasferimento di titolarità (l’avente la acquista, il dante la cede). A differenza dell’articolo 1425, il 428 si riferisce ad una genericità di atti: è inserito nel libro primo proprio perché non si riferisce ad un atto che debba seguire un procedimento preciso.
-        Atti di natura personale, atto di disposizione del proprio corpo, matrimonio…possono essere annullati semplicemente dando prova della propria capacità di intendere e di volere;
-        Atti unilaterali di natura patrimoniale, annullati solo se si prova anche il grave pregiudizio;
-        Atti negoziali quali i contratti, con struttura bilaterale, annullati con: incapacità di intendere e di volere, il grave pregiudizio E la malafede della controparte.
Tali prove devono essere date da chi ha interesse a ricevere l’annullamento. L’annullamento dei contratti può essere pronunciato quando risulta la malafede dell’altro contraente (approfittare dello stato di incapacità che era noto e dal quale si trae vantaggio).
L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni: è molto importante ricordarsi da quando decorrono questi 5 anni, in quanto la disciplina non è omogenea. Per quanto riguarda i vizi del consenso il discorso è semplice: l’azione di annullamento per dolo o violenza o errore si prescrivono per 5 anni da quando è stato scoperto l’errore, il dolo o è cessata la violenza. Nel caso di incapacità legale si nota come il termine di decorrenza può essere o dal momento di conclusione del contratto o dal momento in cui il soggetto riacquista la capacità d’agire, è di difficile definizione la determinazione dei 5 anni. L’azione può anche essere posta in essere da chi riacquista la capacità legale: sembra quasi che questa azione sia perpetua! Nella pratica è difficile che venga riacquistata la capacità e l’azione passa a chi ha facoltà della loro cura. L’azione di questi soggetti è sottoposta alla prescrizione ordinaria (5 anni) dalla conclusione del contratto o da quando se ne è venuti a conoscenza. Nel caso del 428 il termine prescrizionale decorre SEMPRE dalla conclusione del contratto.
È bene soffermare l’attenzione sui termini azione ed eccezione. GLOSSARIO
Gli antichi romani dicevano che non esiste diritto senza azione: si può essere riconosciuti titolari di una serie di posizioni, ma senza strumento giuridico per tutelarle, il diritto sostanziale è poco consistente. È un diritto costituzionalmente garantito che si sostanzia nel diritto di ottenere un provvedimento attraverso un giudizio disciplinato dalla legge. Serve a concretizzare la titolarità di un diritto. Correlativamente al diritto costituzionalmente garantito (art. 24), ovvero quello di azione, vi è ugualmente il divieto di “farsi giustizia da sé”. Nel codice penale esistono i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. L’attore deve fare una domanda che deve contenere un PETITUM e una CAUSA PETENDI: deve contenere una richiesta (petitum, appunto) e una esposizione delle ragioni del perché che sostanzia quella domanda (causa petendi, appunto) -- > giustificazione giuridica. Il soggetto contro cui la domanda è chiesta (convenuto) pone a sua volta delle eccezioni, il convenuto ECCEPISCE (fa presente che…). Ciò che il convenuto fra presente può avere due contenuti:
-        Un contenuto semplice, ovvero una mera difesa in cui dice “i fatti che deduce l’attore non esistono”, detta anche “eccezione impropria”;
-        Un contenuto proprio, ovvero dicendo che ciò che è riportato dall’attore è diverso dalla verità (e riportando la verità) o eccependo fatti nuovi-diversi che danno una differente lettura ai fatti.
Anche all’interno delle eccezioni si distinguono eccezioni in senso lato dalle eccezioni in senso stretto. Le eccezioni in senso lato hanno per oggetto fatti che hanno una operatività “ipso iure”, automatica: il giudice può rilevarli d’ufficio. Uno di questi fatti è la nullità del contratto, per esempio. Tizio dice di aver venduto a Caio casa sua e che Caio non gli ha mai dato i soldi: il fatto è avvenuto in presenza di Sempronio. Questa eccezione, in quanto la forma non è stata rispettata, può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Ci sono poi delle eccezioni onere della parte sollevare: EXCEPTIO IURIS. Queste sono le eccezioni in senso stretto: se la parte non si preoccupa di rilevarle non assolve agli oneri probatori e così facendo non ha la possibilità di dare la prova dei fatti. Queste eccezioni hanno ad oggetto fatti opponibili su iniziativa della parte interessata: questa parte ha onere esclusivo di sollevarle. Sono:
-        Annullabilità;
-        Rescindibilità;
-        Prescrizione del diritto;
-        Compensazione del debito.

Se l’annullamento viene eccepito, in quanto una parte domanda l’esecuzione del contratto, l’azione di annullamento è imprescrittibile (POSSIBILE DOMANDA ALL’ESAME). Art. 1442, comma IV. L’azione di annullamento è sottoposta al termine prescrizionale di 5 anni; l’eccezione, invece, è imprescrittibile.

14^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Si sa, quindi, cosa sia l’autonomia contrattuale. Quando le parti stipulano un contratto per esse il contratto è uno strumento con cui arrivare alla soddisfazione di un proprio interesse (compravendita: disfarsi di una proprietà per del denaro in cambio e viceversa). Dal momento della conclusione del contratto alla realizzazione concreta degli interessi esistenti in capo alle parti c’è una relazione che si chiama FASE DELL’ESECUZIONE del contratto (se ne esplicano gli effetti). Il contratto può essere visto come un programma che le parti condividono per arrivare alla realizzazione dei loro obiettivi: questo programma trova attuazione anche contro chi vorrebbe opporsi all’attuazione di tale contratto.
Gli effetti del contratto sono i più diversi (categorie all’interno delle quali qualsiasi contratto può essere fatto rientrare):
-        Obbligatori;
-        Reali.
Ogni contratto produce effetti OBBLIGATORI: la nozione sta a significare che il contratto fa nascere obbligazioni, ovvero rapporti obbligatori. Obbligazione: rapporto giuridico per il quale un debitore deve eseguire una prestazione nei confronti del creditore (ne ha il diritto, ha un DIRITTO DI CREDITO). L’obbligazione può essere di qualsiasi tipo: fare, non fare, dare, non dare…ovunque, però, c’è il dovere di comportamento del debitore. La caratteristica dell’obbligazione è che è destinata ad estinguersi per sua natura, in quanto l’obbligazione è un rapporto giuridico che serve a soddisfare un interesse del creditore (ricevere la prestazione dal debitore). L’obbligazione deve soddisfare l’interesse del creditore (che, nel caso di un contratto, soddisfa anche la parte contrattuale). Il comportamento è dovuto dal debitore, il cui soddisfacimento è indirizzato al creditore. Se l’obbligazione è compiuta, essa si estingue: è solo strumentale alla soddisfazione dell’interesse del creditore. L’obbligazione contrattuale è uno strumento per realizzare il regolamento di interessi voluto dalle parti. Le obbligazioni (art. 1173) nascono dal contratto, fatti illeciti e da ogni altro atto/fatto idoneo a produrle.
I contratti ad efficacia reale (art. 1376) hanno come oggetto:
-        Trasferimento di proprietà di cosa determinata;
-        Trasferimento o costituzione di diritto reale;
-        Trasferimento di diritto diverso dai diritti reali.
Sono contratti in cui il programma contrattuale prevede il passaggio di proprietà; il trasferimento di un diritto reale diverso dalla proprietà (usufrutto, ad esempio); costituzione di un diritto reale diverso dalla proprietà; trasferimento di un diritto diverso da diritto reale. In questi casi l’art. 1376 la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestati. L’effetto reale voluto dalle parti si produce automaticamente nel momento in cui le parti esprimono LEGITTIMAMENTE il loro consenso (rispetto delle regole della formazione dell’accordo contrattuale e delle regole sulla forma del contratto). Se tutto è rispettato, quell’effetto si produce automaticamente, senza bisogno di ulteriori atti delle parti contraenti.
La distinzione tra i due tipi di contratti sta nel fatto che non esiste alcun contratto che non produca effetti obbligatori. Da tutti i contratti, infatti, si producono obbligazioni (anche dai contratti ad efficacia reale). La differenza, quindi, sta nel fatto che i contratti ad effetto obbligatori PRODUCONO SOLTANTO effetti obbligatori, mentre gli effetti dei contratti ad efficacia reale sono la nascita di un effetto reale e la nascita di un’obbligazione. A questo punto occorre fare delle precisazioni terminologiche. È necessario tenere nettamente distinti la nozione di contratto ad efficacia reale e di contratto reale.
La efficacia reale del contratto è una categoria che riguarda GLI EFFETTI del contratto.
La nozione del contratto reale esprime una categoria che si riferisce al modo in cui il contratto è concluso (contratti per cui la legge richiede in più la consegna della cosa oggetto del contratto). Il consenso senza consegna della cosa non basta, alla legge, per la conclusione del contratto. Le figure tipiche più importanti sono: il deposito, il pegno (contratto di garanzia del credito), il mutuo (il mutuante presta al mutuatario) e il comodato (che è un prestito, in sostanza). !!!NON SI CONFONDANO LE DUE NOZIONI!!!
Le categorie sono talmente diverse che si intrecciano fra di loro (contratto reale ad effetti obbligatori, per esempio). Si faccia l’esempio del deposito (contratto reale ad effetti obbligatori); si faccia l’esempio del mutuo (contratto reale ad effetti reali) -- > anche detto prestito di consumazione.
Contratti consensuali: sono contratti che si concludono mediante uno scambio di consensi, senza bisogno della consegna della cosa (così è la compravendita). Il principio che sta alla base degli effetti reali del contratto (il consenso) va sotto il nome di PRINCIPIO CONSENSUALISTICO. Non bisogna confondere i contratti consensuali con il principio consensualistico!!!
Si fermi l’attenzione, ora, sulla norma dedicata ai contratti ad efficacia reale: l’effetto reale riguarda il trasferimento della proprietà solo se la cosa è determinata (inconcepibile se la cosa è generica). Se il contratto ha per oggetto il trasferimento di una cosa determinata solo in base al genere, il contratto non può avere una efficacia reale. Io dico: compro una Fiat 500 bianca. Il venditore è d’accordo. Sembra che il contratto ci sia: non è vero, in quanto la cosa individuata è troppo generica.
Primo punto: le cose specifiche sono le cose che le parti hanno individuato PRECISAMENTE. La Fiat 500 bianca con targa EZ…allora è cosa determinata. La Fiat 500 bianca è indeterminata.

Art. 1378: trasferimento di cosa determinata solo nel genere. In tali contratti la individuazione della cosa (trasforma la cosa da generica a determinata) è ulteriore attività indispensabile. Tizio ordina a Caio 100.000 barili di petrolio: Tizio ne diventa proprietario nel momento in cui Caio li consegna al vettore che li porterà a Tizio. L’esempio più tipico è il momento in cui il concessionario invita il compratore a prendere visione dell’auto che ha ordinato: è questa l’auto ordinata? Sì? Bene, questa è, civilisticamente parlando, l’individuazione del bene oggetto di compravendita.  

11^ LEZIONE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO.

 MITO PLATONICO DELLA NASCITA DI EROS – Simposio
Si tratta del racconto con il quale Platone intende spiegare cosa sia la filosofia (con parole di Socrate). Il mito è nella parte finale del Simposio (dialogo sul tema dell’amore in cui i convitati tirano fuori questo argomento e discutono delle varie tesi che si ponevano su questo argomento). L’argomento finale viene assegnato a Socrate: si svolge in modo dialogico e presso il banchetto. Uno dei discorsi precedenti sull’amore è quello di Aristofane: “L’amore si può rappresentare con il grande mito degli esseri umani in delle sfere, tagliate poi a metà da Zeus. Le mezze sfere tentano di riunirsi in una grande sfera”. Socrate, con astuzia dialettica, nel dialogo afferma di raccontare ciò che ha sentito dalla sacerdotessa Diotima di Mantinea: questa ha rivelato cosa sia l’amore. È un’esposizione del dialogo nel dialogo.
Diversamente da quello che ha detto Aristofane, Socrate racconta un mito nella forma del dialogo. La nascita di Eros è la nascita di un semidio che in realtà si riferisce ad una divinità molto nota, con caratteristiche specifiche. La situazione narrativa del mito è quella del banchetto organizzato dagli dei per la nascita di Afrodite. In questo caso si svolge il racconto che Socrate fa. Il dialogo è stato diviso in 4 parti:
L’idea che Eros sia un intermedio, è una divinità da tutti conosciuta, ma a metà tra bello e buono, brutto e cattivo. La cosa più facile, dice Socrate, è fare domande. Socrate spiega ai suoi astanti l’amore in questo modo (anche la sacerdotessa gliene faceva). Gli fu chiesto che cosa credesse fosse Eros, e lui rispose che Eros è Dio delle cose belle. Lei confutò che era sia bello che brutto. Socrate chiede se per lei fosse brutto, e lei risponde che è un intermedio. Questo implica che la riflessione su questo grande Dio debba essere corretta dicendo che Eros non è bello e buono, né brutto né cattivo. Tutto ammettono che è un grande Dio, dice Socrate. E lei dice che non è possibile dire ciò, in quanto non è un Dio, ma solo semi-Dio. Socrate allora dice che tutti gli dei sono belli: è un qualcosa di intermedio, un mortale immortale. È in sostanza un DAIMON, tutto ciò che così è, è appunto un intermedio tra il divino e il mortale (difesa già usata nella Apologia di Socrate). È quindi un PONTE tra uomini e dei. È un TRAMITE, così come nell’antico mondo romano lo era il PONTIFEX. Opera un completamento, in modo che tutto sia collegato con se stesso. Questo collegamento è operato attraverso il LOGOS. Platone, quindi, si sta riferendo alla dialettica. Eros rappresenta quello che nella tradizione è l’amore platonico, amore simile all’amore magico (in questo modo gli dei hanno un collegamento con gli uomini). Il demone riesce a creare una mediazione tra ciò che è umano e ciò che è divino. È pacifico interpretare la figura di Eros da parte di Platone con la figura di Socrate (Platone sta procedendo ad una rivalutazione della figura di Socrate). Socrate è un intermedio tra dei e uomini. Socrate è un uomo DEMONICO (da DAIMON). Questo mito racconta della nascita di Eros: gli dei tenevano banchetto. Poros, ubriaco, fu colto dal sonno. Penia, la povertà, giacque con Poros e dalla loro unione nasce Eros. Nasce proprio durante le feste per la nascita di Afrodite AMANTE DI BELLEZZA. Ecco la natura semidivina di Eros. È un intermedio tra chi è cacciatore di ricchezza e tra chi è indigente: è povero sempre, duro e ispido e dorme all’aperto. Ciò che riceve dal padre: coraggioso, audace, straordinario cacciatore, appassionato di saggezza (FILOSOFOS). Tutte queste caratteristiche ben si attagliano a Socrate: trasforma spesso se stesso, sicché Eros non è né ricco né povero, è a metà via. Eros sta in mezzo tra sapienza ed ignoranza. Il filosofo è un sapiente, è un amico della sapienza, ma non è nemmeno ignorante. Chi presume di non essere ignorante in assoluto non ha tale sapienza (dotta ignoranza). Nessuno degli dei filosofa, perché già sapiente. Nessuno degli ignoranti, al pari, filosofa, perché pensa di essere già sapiente. Il sapere, per non cadere in contraddizione, è il sapere di non sapere. Ma chi sono coloro che filosofano? Sono coloro che stanno in mezzo tra gli ignoranti e i sapienti, i desiderosi di sapienza. Costui è anche Eros, amore per il bello. Perciò è necessario che Eros sia filosofo, intermedio. Eros non è l’amato, è l’amante. Per questo Eros è colui che ama, non è l’oggetto: il filosofo ha quelle caratteristiche pienamente impersonate da Socrate. Ciò che emerge dal raccontare il filosofo non è teoria astratta, ma deriva da un dialogo nel dialogo. Il filosofo e, quindi, la filosofia si riferiscono ad un concetto che non è solo un modo di vedere, ma anche di ESSERE. Non v’è, quindi, differenza tra esperienza e conoscenza. Questo è il VERO filosofo. Bisogna concentrarsi sul SOGGETTO e non sull’oggetto. Questa è la conferma dello schema sul mito: racconto fondativo, racconto inventivo (storia di Eros), disordinato (esistono varie storie su Eros), simbolico (Eros è Socrate) e dialogico. Questa è una prima ed evidente connessione col mondo del mito e gli elementi costitutivi del mondo della filosofia. Attraverso il mito, infatti, si possono apprendere elementi di conoscenza sulla ricerca filosofica.
LA CALUNNIA – Botticelli
È una rappresentazione del processo ingiusto. È un quadro che Botticelli dipinge alla fine del ‘400 (1494-1495). Costituisce il rifacimento di un quadro che dipinse Apelle di Cos (pittore di età classica, vissuto presso la Corte di Tolomeo), il quale riprende quello che fu perduto (l’originale è assente). Questo quadro viene descritto in alcune opere letterarie, quali quelle del II secolo d.C., come “Come difendersi dalla calunnia”, di Luciano di Samosata. Il quadro è una rappresentazione allegorica di un processo che subì Apelle stesso. Botticelli, si dice, abbia dipinto questo quadro per difendere Savonarola: altri affermano che lui stesso fu vittima di calunnia. La II fonte letteraria è l’opera di Leon Battista Alberti (“De Pictura”), in cui si dice che i pittori devono imitare le opere dei classici. Le fonti letterarie di questa opera pittorica è il trattatello di Luciano e l’opera di Alberti, quindi. “La calunnia”, quindi, riprende una tecnica che rappresenta la vera origine letteraria della calunnia di Apelle di Cos (genere Ecfrastico). Il genere della EKFRASIS è un’opera in cui l’autore genera immagini attraverso il suo racconto: rende visibile a parole ciò che vuole rappresentare. L’evocazione di immagini attraverso parole è tipica di Iliade ed Odissea, per esempio. Ma è una tecnica fondamentale anche per il pittore rinascimentale. Modello di EKFRASIS per i pittori è proprio la calunnia di Apelle. In questo caso è un’immagine che evoca il racconto. È una interpretazione che ricrea un dipinto che si era perduto. Questo quadro è la rappresentazione di un mito e di un processo ingiusto.
ICONOGRAFIA
La descrizione parte dall’analisi dei personaggi: è una rappresentazione allegorica. Il quadro è divisibile in tre parti. La descrizione parte da destra e finisce a sinistra. Il protagonista di questo processo è Re Mida, il giudice. Ha le orecchie da asino e ha due fanciulle che rappresentano il SOSPETTO e l’IGNORANZA. Le orecchie d’asino sono un retaggio della punizione di Apollo per aver dato la vittoria a Marsia nell’agone al flauto.
Vi è poi una sezione centrale: ci sono varie figure che si muovono e al centro vi è la calunnia (donna con veste azzurra, che trascina un soggetto per terra (imputato)). Vi è poi una figura incappucciata: rabbia, livore, l’accusa, che si rivolge al giudice. La calunnia regge una fiaccola accesa che sarebbe il simbolo di ciò che illumina: in realtà è lontana dall’accusatore e quindi non lo illumina. Ci sono altre due figure allegoriche: Invidia e Frode (quelle che acconciano i capelli della Calunnia). I capelli sono acconciati con rose e nastro bianco.
La terza parte reca una donna scura (penitenza e pentimento) che guarda la VERITA’ (figura nuda ed immobile). Costituisce una presenza ingombrante, necessaria ma al contempo trascurata. È una rappresentazione dinamica ma anche statica.
Il tema del quadro è la calunnia: in basso, in piccolo, è scritto di diffidare dalla calunnia (accusa falsa di aver commesso un delitto). L’elegante loggiato ha due pilastri con tre arcate e il paesaggio è sereno e piatto, che contrasta con le figure in primo piano. Nelle nicchie vi sono figure mitologiche e bibliche. Se ben si guarda, i personaggi reali del processo sono:
-        Re Mida;
-        Accusatore;
-        Incappucciato.

PROCESSUS EST ACTUS TRIUM PERSONARUM (giudice, attore e convenuto). La scena principale, ripeto, rappresenta un INGIUSTO processo. Chiaramente nel processo vi è un problema: il tema della verità nel processo. E’ la verità l’unica figura ferma, rispetto alla concitazione della scena. La verità è FUORI dal processo quando questo è ingiusto.

13^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Articolo: 2727. Altra prova è la presunzione. Il fatto su cui si basa la presunzione deve essere provato. Prima c’è l’esigenza di provare il fatto noto, poi il giudice potrà argomentare deduttivamente l’esistenza del fatto presunto (il fatto noto è l’indizio). L’indizio ci consente di desumere la verità del fatto non ancora provato, ma presunto. Le presunzioni sono argomentazioni deduttive: già nella nozione del 2727 si capisce che esistono
-        Argomentazioni che la legge ricava dal fatto noto (presunzione LEGALE);
-        Argomentazioni che il giudice ricava dal fatto noto (presunzione SEMPLICE).
Entrambe seguono un preciso percorso logico. Un esempio di presunzione legale è contenuta nell’articolo 1335. In questo caso è la norma di legge che considera dimostrato il fatto ignoto quando sia provato un fatto noto. Il fatto che la dichiarazione sia pervenuta all’indirizzo del destinatario presume un conoscimento da parte del potenziale accettante. L’ufficiale del servizio postale, una volta consegnata la missiva, fa firmare al destinatario la ricevuta di ritorno che viene consegnata a sua volta al mittente: questa è una prova del fatto che il destinatario abbia ricevuto la missiva stessa. Queste presunzioni legali si ripartiscono in due categorie:
-        Assolute, presunzioni contro le quali non è ammessa prova contraria.
-        Relativo, presunzioni contro le quali è ammessa prova contraria (ad es. art. 1335).
È offerto nel caso del 1335 la possibilità al destinatario di offrire prova contraria rispetto a ciò che è presunto nel 1335 (nella prima parte). L’onere della prova grava su chi solitamente non è gravato da tale onere (inversione dell’onere della prova, inversione rispetto all’articolo 2697).
Le presunzioni legali assolute sono quelle presunzioni contro le quali non è ammessa prova contraria: dato l’indizio, quindi, il fatto si considera senz’altro provato, senza che nessuno possa provare qualcos’altro di diverso (materia di filiazione, art. 232 -- > il matrimonio senz’altro si scioglie, anche se per cause diverse: in questo articolo si dice chiaramente che si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato entro 300 giorni dalla data d’annullamento del matrimonio).
Vi sono poi le presunzioni semplici: queste sono fatte dal giudice. Spesso il giudice si trova a dover giudicare sulla base di presunzioni. Quasi sempre il giudice si deve servire degli indizi: la causa si fa o si subisce quando l’impianto probatorio è indiziario. Rispetto alla presunzione semplice (attività fatta dal giudice) la legge, all’articolo 2729 troviamo che le presunzioni sono lasciate alla prudenza del giudice e, nel II comma, che le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni. Il giudice, inoltre, non deve ammettere presunzioni se non gravi, precise e concordanti. Qui vi è un’inesattezza: sono GLI INDIZI ad avere tali caratteristiche, non le presunzioni. Devono essere:
-        Gravi: l’intuizione deve essere logica e argomentata;
-        Precisi: indizi che siano univoci, devono indicare con chiarezza il fatto ignoto da ricavare per presunzione;
-        Concordanti (molto importante): con questo aggettivo la legge parte dal presupposto che gli indizi siano molteplici. Il giudice normalmente si trova di fronte a tutta una serie di prove (testimonianze, documenti, comunicazioni, lettere, contratti…), per cui per decidere occorre che questi indizi siano concordanti, indirizzando tutti verso lo stesso fatto ignoto. Non ci devono essere indizi discordanti, che portano a risultati opposti: tutti gli indizi esistenti devono indicare la stessa direzione. Solo in questo caso il giudice può decidere in base alla presunzione.
IL GIURAMENTO – IV mezzo di prova
Mezzo di prova assai inconsueto, è di due tipi (o forse tre, il codice parla di due tipi, ma probabilmente, all’interno di uno dei due, sono previsti due tipi di giuramento), art. 2736:
-        Giuramento DECISORIO: è un giuramento in cui la iniziativa è presa da una delle parti (tramite il legale) che deferisce il giuramento all’altra parte, ovvero chiede all’altra parte di giurare sulla verità delle cose che sostiene. Dalla prestazione (o dal rifiuto) di giuramento dipende l’esito della causa. Caio, al quale il giuramento è stato deferito il giuramento, può chiedere di riferire il giuramento a chi glielo ha DEFERITO (Tizio, in questo caso): Tizio si trova nelle condizioni di giurare o di non giurare. In questo caso, dopo il riferimento, il giuramento può essere solo prestato o meno. La forza del giuramento decisorio è tale che se, per ipotesi, Tizio o Caio avessero giurato il falso, costoro commettono un reato, e possono essere condannati PENALMENTE. Quand’anche sia stato accertato il giuramento del falso, la sentenza civile resta ferma: Caio giura il falso, ma il giudizio civile non viene ribaltato (c’è solo una conseguenza penale per Caio e la possibilità per Tizio di richiedere un risarcimento civile). È una prova che supera ogni altra prova.
-        Giuramento SUPPLETORIO: il giudice deferisce ad una delle due parti questo giuramento nel caso in cui la domanda o le eccezioni non siano pienamente provate, ma non del tutto sfornite di prova. Vi è poi una seconda fattispecie (sempre all’interno di questo secondo tipo di giuramento):
o   Il giuramento ESTIMATORIO: è il giuramento deferito al fine di stabilire il valor della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti.
Questo è uno dei pochissimi casi in cui nel processo civile il giudice ha un potere di iniziativa in ordine alle prove. In pochissimi casi (e questo è uno di quelli) il giudice ha il potere di promuovere la prova: sono poteri UFFICIOSI del giudice. È molto difficile che il giudice si fidi delle parti e dei rispettivi legali.
SI CHIUDA ORA LA PARENTESI SULLE PROVE E SI RIAPRA IL CAPITOLO SULLA FORMA DEL CONTRATTO
Torniamo all’articolo 1351. Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. In questo articolo NON si dice quale forma deve assumere il preliminare, ma lega semplicemente il preliminare al definitivo. Nel caso in cui risulti nullo il preliminare, non c’è obbligo di stipulare il definitivo.
Articolo 1352: sono accordi con cui le parti si accordano in che forma il contratto andrà fatto tra di loro. I contratti futuri tra due parti DEVONO essere stipulati in questa forma (due parti si accordano così). Se c’è una regola sulla forma, questa regola sulla forma è in linea di principio è una regola di forma a pena di nullità. Le parti potrebbero stabilite che la regola di forma sia stabilita ad altra pena (ex articolo 2725, in cui si contempla la eventualità che, per volontà delle parti, un contratto possa essere provato per iscritto).
Poniamo ora un problema: c’è il contratto. A questo punto il problema è di interpretazione del contratto.
Le regole giuridiche che riguardano l’interpretazione del contratto hanno come destinatari i giudici davanti ai quali nascono controversie e coloro i quali sono interessati al contratto. Queste regole di interpretazione sono contenute dagli articoli 1361 al 1372. La prima parte riguarda (1361-1365) l’interpretazione soggettiva; la seconda parte (1367-1372) l’interpretazione oggettiva. Il 1366 riporta la clausola di buona fede, a conferma di come questo criterio di comportamento riguardi tutte le fasi del contratto.
Il primo gruppo riguarda l’INTERPRETRAZIONE SOGGETTIVA: cosa le parti hanno effettivamente voluto? È la ricerca della volontà storica dei contraenti. La prima norma è l’articolo 1362: nell’interpretare il contratto si deve indagare la comune intenzione delle parti e non fermarsi al senso letterale delle parole. Questa norma consente di distinguere tra scopo dell’interpretazione e materiale dell’interpretazione. L’interpretazione ha lo scopo di individuare la comune intenzione delle parti: è la ricerca del vero e proprio contenuto contrattuale. La legge dice cosa utilizzare per raggiungere il materiale di interpretazione: innanzitutto non bisogna fermarsi al significato letterale delle parole che i contraenti abbiano usato (spesso frainteso come un “prescindere dalle parole usate dalle parti”). La norma, in realtà, va intesa dando il giusto peso al fatto che si dice che non bisogna FERMARSI al significato letterale delle parole: questo aspetto DEVE essere preso in considerazione. Addirittura il significato letterale delle parole è il primo strumento di interpretazione. Bisognerà, certo, tenere conto anche e soprattutto del comportamento delle parti: non solo precedente, ma anche contemporaneo e successivo (per capire quale sia stata la loro comune intenzione). Le altre regole sull’interpretazione soggettiva sono specificazioni superflue: sono state inserite nel codice per evitare comportamenti maliziosi. Il contratto, infatti, va interpretato SISTEMATICAMENTE (senza decontestualizzare le varie frasi) -- > art. 1363.
L’articolo 1364, invece, afferma che le espressioni generali non sono usate in maniera assoluta, ma solo relativamente agli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare.
V’è poi l’articolo 1365 che afferma che nel caso in cui nel contratto si sia espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono conclusi i casi non espressi, ai quali può estendersi il patto stesso.
PUO’ accadere che non si riesca a capire la comune intenzione: vendita del primo piano di una casa, ad esempio. Non si capiva se le parti si riferissero al piano terra o al piano primo: indizi conducevano alla prima ipotesi, altri indizi alla seconda ipotesi. In casi di questo genere si ricorre a INTERPRETAZIONE OGGETTIVA.
Art. 1367: conservazione del contratto. Si interpreta nel senso in cui il contratto abbia qualche effetto, piuttosto che nessuno. Art. 1370: interpretazione contro l’autore della clausola (nei contratti a condizioni generali). Le altre regole sono l’articolo 1368 e il 1369. Il 1368 vuole che il contratto venga interpretato secondo gli usi del luogo in cui è concluso o del luogo in cui ha sede l’impresa.
Il 1369 esprime invece la necessità di coerenza dell’interpretazione.

Molto importante il 1371: sono le regole finali, quelle a cui si ricorre se non se ne viene fuori. Questo distingue i contratti gratuiti dai contratti a titolo oneroso. Nel caso di contratti gratuiti c’è un unico soggetto obbligato: il 1371 afferma che, nel dubbio finale, il contratto gratuito deve essere inteso nel senso meno oneroso per l’obbligato. Questo è una regola espressione del principio del FAVOR DEBITORIS (istituzioni di diritto romano). Nel caso di contratto oneroso, il dubbio deve essere sciolto nel senso che il contratto realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti. Non si deve, in sostanza, favorire eccessivamente nessuna delle due parti: bisogna ottenere un equo contemperamento degli interessi di entrambi. È uno dei pochi casi in cui viene sancito un principio di equilibrio contrattuale. Qui vi è un elemento che attenua il rigore del principio di libertà contrattuale: ci dice che un obiettivo del legislatore è quello che il contratto realizzi l’equo contemperamento degli interessi. Non devono essere, in sostanza, contratti ingiusti. Vi è, quindi, istanza di giustizia sostanziale.