In questa ultima lezione di diritto pubblico parleremo delle sentenze di rigetto o di accoglimento interpretative e soprattutto di uno dei più begli articoli della nostra Costituzione: l'articolo 3.
LE SENTENZE DELLA CORTE POSSONO
ANCHE ESSERE DI RIGETTO od ACCOGLIMENTO INTERPRETATIVE
È la sentenza con la quale la
Corte in via preliminare riconosce che sia possibile dare di una stessa
disposizioni più interpretazioni diverse (una disposizione può produrre norme
diverse). La sentenza interpretativa passa in rassegna le possibili
interpretazioni della norma, ne seleziona uno e dice a seconda dei casi quale
sia la interpretazione prevalente: la seleziona e la accoglie o la rigetta.
Un termine per un’azione, per
esempio, è fissata a 5 anni. Tale termine è PERENTORIO o è ORDINATORIO? Ovvero
si può continuare ad esercitare il potere scaduto il termine o no? Se si ponesse
una questione della legittimità di questo tipo, PRELIMINARMENTE si dovrebbe
chiarire se la sentenza è interpretativa o no. Queste sentenze sono molto
frequenti perché si esige che si determini PRELIMINARMENTE quale sia
l’interpretazione da prendere in esame.
Se la sentenze è interpretativa,
è importante che sia di accoglimento o di rigetto? Sì, perché se è di
accoglimento è ERGA OMNES; se è di RIGETTO, la sentenza vale INTER PARTES.
La sentenza sostitutiva è una
sentenza interpretativa con la quale la Corte dichiara incostituzionale una
parte della legge, ovvero quella in cui prevede qualcosa e dove avrebbe dovuto
prevedere qualcosa d’altro (sostituisce un contenuto nuovo al contenuto
vecchio). Perché è un procedimento rischioso? Perché rischia di essere un vero
e proprio procedimento legislativo.
Qual è il limite? Il limite è
dato dalla teoria delle rime obbligate: sostituisce o aggiunge un nuovo
contenuto solo se direttamente ricavabile dalla Costituzione.
Se non ci fossero queste RIME
OBBLIGATE COSTITUZIONALI, la Corte non potrebbe adottare queste sentenze,
perché si rischia di lasciare il potere legislativo alla Corte.
La sentenza additiva è una
sentenza interpretativa con la quale la Corte dichiara incostituzionale la
legge in quella parte in cui non dice qualcosa che dovrebbe dire.
ESEMPIO: il permesso lavorativo
era garantito fino a qualche anno fa solo alle donne. Una legge di questo tipo
si è detto è incostituzionale. Ma la Corte che sentenza deve pronunciare? Si
può:
-
Portare la donna allo stesso livello dell’uomo,
togliendole la facoltà;
-
Portare l’uomo allo stesso livello della donna,
dandogli facoltà.
Nel permesso lavorativo
l’intervento non è tanto complicato, perché si tende ad AGGIUNGERE la facoltà
anche ai padri. Si dichiara la legge incostituzionale laddove la legge non
prevede la facoltà ANCHE per il padre (secondo le rime obbligate). La Corte
Costituzionale, in sostanza, si arroga un compito di aggiungere la facoltà che
in allora il Parlamento non aveva ritenuto di dare.
LE PIU’ pericolose sono le
sentenze additive di prestazione che estendono i diritti sociali.
Esempio: la legge prevede che si
debba dare un indennizzo alla donna per lavoro usurante. E per l’uomo? Il
premio si giustifica che venga dato alla donna perché la donna è strutturalmente
diversa dall’uomo. Si giustifica, così, che la prestazione in più sia data solo
alla donna.
Se si prende in considerazione
l’uomo e la donna come GENERE, allora non ha ragione di esistere.
Prendiamo un altro esempio: i
metalmeccanici ricevono un indennizzo per il loro lavoro usurante. I
ferrotranvieri non ricevono questo beneficio. In base all’articolo 3 anche
questi richiedono l’estensione del beneficio. La Corte o toglie il beneficio a
tutti e due o li aggiunge a tutti e due.
Qual è il problema di fondo? Che
non si hanno più le coperture finanziarie. Lo Stato si trova a dover pagare una
prestazione inizialmente non prevista. Questo accadeva tempo fa, non certamente
quando c’era crisi o recessione. Oggi tali sentenze non vengono più adottate. Oggi,
infatti, non si estende più il beneficio, ma lo si toglie.
L’ARTICOLO 3
Fino ad ora si è sempre preso in
considerazione il 3 I comma. Questo è espressione dello Stato di diritto
liberale. La fonte è la RIVOLUZIONE FRANCESE (l’uguaglianza formale lo troviamo
già nello Statuto Albertino). L’articolo 3 non ci sta dicendo che non sono
ammesse le differenze (tra uomo, donna, deputati, senatori…): se fosse inteso
in senso assolutistico non ci sarebbe nulla del sistema legislativo (il
creditore sarebbe uguale al debitore, il pubblico ufficiale sarebbe uguale ad
un qualsiasi cittadino…). L’articolo 3 è dominato da un regime triangolare: si
vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe o in maniera uguale
situazioni diverse.
Uomo e donna devono essere SEMPRE
trattati allo stesso modo quindi? Alle volte possono essere giustificati come
trattamento differenziale (differenze che inevitabilmente ci sono). Se in gioco
entra questa differenziazione l’uomo è diverso dalla donna.
Se il loro essere appartenenti
allo stesso genere li rende uguali, bisogna fare riferimento all’articolo 2.
Ma qual è il terzo vertice del
triangolo? Un TERTIUM COMPARATIONIS che mi faccia capire se è giusta o meno la
discriminazione. L’articolo 3 non vieta in assoluto che la legge faccia
trattamenti diversificati, ma il trattamento ARBITRARIO, IRRAGIONEVOLE di
situazioni assimilabili. Vieta, altrettanto, l’omologazione di situazioni
diverse.
Il ragionamento sull’articolo 3
diventa pericoloso: fino a che punto posso spingere la differenza tra un
semplice cittadino e, per esempio, un deputato tutelato dall’articolo 68?
L’articolo 3 annulla le differenze irragionevoli, quindi è frutto di
interpretazione.
ARTICOLO 3 II comma
La nostra Costituzione era
pensata come un PROGRAMMA, esigeva ed impegnava i legislatori per il tempo
futuro. È l’impegno che grava sulla Repubblica (art. 114 Costituzione) di
eliminare le disuguaglianze di FATTO (non formali). La donna rispetto all’uomo,
il disabile rispetto alla persona sana, il giovane rispetto al vecchio, il
prestatore di lavoro rispetto al mega imprenditore…
L’articolo 3 si fa carico di
queste fasce deboli, ma non riportandole allo stesso livello, ma garantendo a
tutti le stesse chances di partenza.
C’è dialettica tra il comma 1 e
il comma 2: il comma 2 ci dice che la Repubblica si attiva fattivamente per la
fascia debole. È ovvio quindi che se esiste una legge elettorale in cui
garantiscono alla donna metà dei seggi ottenuti dal partito X, vìolo il primo
comma e quindi la legge risulta incostituzionale; se invece si danno alla donna
le stesse potenzialità di risultato che sono date agli uomini. Le quote rosa,
quindi, sono intese nel senso più degenere perché vìola fattivamente il I
comma. Ci deve essere equilibrio tra il I e il II comma.
La nostra Costituzione oltre ai
diritti sociali contempla anche i diritti di III generazione.