venerdì 6 marzo 2015

LEZIONE AGGIUNTIVA DI DIRITTO PRIVATO.

N.B. Queste sono lezioni che esulano dal corso normalmente tenuto dal professore di privato, ma che costituiscono comunque programma di esame. 

Cos’è il diritto? È il complesso di norme che regolano la convivenza di individui che hanno interessi contrapposti fra loro. Le norme stabiliscono quali devono prevalere. Il diritto stabilisce la prevalenza di un diritto rispetto ad un altro. Poiché un diritto possa esistere ci deve essere: un gruppo sociale, individui con interessi contrastanti, regole che stabiliscono dei comportamenti e regole che stabiliscono le sanzioni in caso di inosservanza di tali comportamenti. Un ordinamento ha rilevanza giuridica se:
-        Norme per risolvere conflitto di interessi;
-        Violazione di norma con sanzione.
La sanzione è una conseguenza negativa in capo al soggetto che ha infranto la regola. Nei doveri morali / etici non v’è la correlazione di una sanzione.
DIRITTO POSITIVO: è quel diritto posto dallo stato con le sue leggi (per alcuni è proprio il diritto statuale): norme di altri ordinamenti o della legislazione di quello stato che entrano a far parte della legislazione vigente in quel paese in un certo momento.
DIRITTO NATURALE: è un insieme di regole ideali, di tutto ciò che nel sentire comune si ritiene essere una norma di diritto (ad es.: principio di libertà individuale di ogni individuo). Tanto più il diritto positivo si avvicina a quello naturale, tanto più avremo una società in cui le regole naturali sono codificate dal legislatore in regole scritte.
È importantissimo riconoscere che lo stesso esercizio del potere è sottoposto a delle regole: chi regola il potere non è mero arbitrio, ma ha il dovere di rispettare alcune regole (STATO DI DIRITTO). Non è, quindi, tanto l’organo che decide ad essere supremo, ma è sempre tale la legge. Anche lo stato di diritto è una conquista degli ultimi secoli (non stiamo parlando di monarchia, laddove non c’era controllo del diritto né tanto meno si sapeva dove fossero i limiti del potere monarchico).
DIRITTO IN SENSO OGGETTIVO/SOGGETTIVO: il diritto privato si occupa principalmente del diritto in senso soggettivo. Oggettivo: complesso di norme che regolano la vita della comunità (è poi diritto comune, speciale, eccezionale, transitorio, privato, pubblico…). È la fotografia del complesso di norme che in questo momento sono in vigore. Soggettivo: situazione giuridica in cui si trova un determinato soggetto. Si intende soprattutto ciò che l’individuo può fare per soddisfare il suo interesse, anche correlativamente inteso, cioè ciò che deve fare per soddisfare un suo diritto rispetto ad altri.
LE FONTI
Al primissimo posto vi è la costituzione, le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale. Sono sullo stesso livello perché è la stessa Costituzione a prevedere di essere modificata da fonti di pari grado.
Al secondo posto vi sono gli atti della CE. Sono appena sotto, non a fianco: si dice che se il legislatore non avesse concesso la limitazione di sovranità, non vi sarebbe nemmeno la possibilità di entrata per queste norme nel nostro ordinamento.
Al terzo posto abbiamo le leggi ordinarie e accanto vi sono gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi). Le leggi ordinarie sono molto difficili da conoscere tutte: ogni tanto vi sono delle opere di coesione, dette codici. Vi sono anche i Testi Unici che cercano di ordinare tutte le leggi. La legge regionale è posta sullo stesso piano di quella statale, ma pur avendo efficacia solo per un determinato ambito dello Stato, non per questo è meno cogente di quella statale.
Al quarto posto troviamo i regolamenti amministrativi: sono spesso decreti della PA o del governo che hanno la funzione di dare efficacia pragmatica od attuativa alle norme del Parlamento.
Al quinto posto troviamo usi e consuetudini: sono comportamenti ripetuti nel tempo, con la convinzione che si tratti di comportamenti dovuti, che la legge impone. L’ambito sociale in cui si manifesta questo fenomeno può essere più o meno vasto (si parla spesso di usi commerciali o agricoli). Affinché si possa configurare un uso od una consuetudine: il comportamento ripetuto nel tempo e la convinzione che questo comportamento sia giuridicamente dovuto (OPINIO IURIS ATQUE NECESSITATIS). Gli usi o le consuetudini sono giuridicamente rilevanti se richiamati da leggi in vigore (USI SECUNDUM LEGEM); sono considerati tali se vanno a colmare dei vuoti legislativi (USI PRAETER LEGEM). Non sono mai considerati tali se risultano CONTRA LEGEM. La prova dell’esistenza di un uso può essere data con ogni mezzo possibile, ed in particolare con l’uso la faccenda diventa molto complicata perché non vi è fonte scritta alla base, contrariamente a ciò che abbiamo citato sopra.
Presunzioni relative (JURIS TANTUM): il legislatore consente di dare prova contraria.
Presunzioni assolute (JURI ET DEJURE): non è possibile definire prova contraria.
Equità: è la giustizia del caso concreto. È importantissimo ricordare che l’equità è valida se espressamente richiamata da una norma di legge.
ISTITUTO GIURIDICO: complesso di regole giuridiche che regolano un determinato argomento. Il contratto, per esempio, è un istituto giuridico.
DISPOSIZIONE LEGISLATIVA: serie di proposizioni che contiene la norma. Questa frase che contiene la norma non necessariamente è scritta e soprattutto la regola è frutto di una interpretazione.
Tutte le norme possono essere classificate in tre categorie: suppletive, dispositive ed imperative.
IMPERATIVA: sono norme non derogabili dalle parti. Nel nostro ordinamento il legislatore dà una grande libertà di movimento alle parti (principio sommo: autonomia delle parti). Le parti, quindi, sono libere di regolare il proprio assetto di interessi come meglio credono. L’eccezione sono le norme imperative: il legislatore dice di regolare i loro interessi così come vogliono, MA affermando che ci sono degli aspetti che non possono essere liberamente regolati. Vi sono delle norme, quindi, che anche se le parti volessero modificare d’accordo, non possono avere contenuto diverso da quello stabilito dal legislatore. Costui lo fa spesso per tutelare un parte più debole o per difendere una parte dell’ordinamento (ad es.: divieto di patto commissorio, art. 2744: la ratio è quella di evitare che il debitore, che dunque è debole, si spogli di tutti i suoi beni a tutto vantaggio del suo creditore, con un disvalore eventuale della operazione commerciale in sé). La sanzione, ex articolo 1418, per la violazione di una norma imperativa, consiste nella nullità dell’accordo. Laddove si dice “salvo che la legge disponga diversamente”, si intende una particolare condizione di nullità.
DISPOSITIVE: sono le norme regolabili dall’autonomia contrattuale delle parti.
SUPPLETIVE: quelle che la legge prevede come regola nel caso in cui le parti non abbiano disposto (ad es.: nelle successioni mortis causa posso disporre un testamento: nel caso io non abbia disposto per la distribuzione dei miei beni, intervengono le norme sulla successione legittima).
FATTISPECIE
Il fatto da cui scaturisce l'effetto giuridico; è il fatto presupposto affinché l’effetto giuridico si verifichi. In astratto la fattispecie è prevista dalla norma: possono essere complesse o semplici (più o un sol fatto richiesto per produrre effetto giuridico). Le fattispecie vengono distinte in: costitutive, estintive e traslative.
Sono caratteristiche basate sugli effetti e sono importanti per i contratti, che possono essere:
  1. Ad efficacia reale: sono contratti in grado di traslare la proprietà o di costituire nuovi diritti;
  2. Ad effetti obbligatori: sono contratti che fanno nascere obbligazioni (vincolo giuridico alle parti).
Tutti i contratti hanno effetti obbligatori (ex articolo 1173): da un contratto nascono SEMPRE obbligazioni. L’efficacia reale dei contratti, invece, è un’ipotesi ristretta, che solo alcuni contratti sono in grado di produrre come effetto (compravendita e donazione). Gli effetti sono sempre di tipo obbligatorio (impone alle parte l’obbligo di fare una determinata cosa); alcuni contratti hanno anche un’efficacia reale.
Il modo in cui questo contratto si è concluso è diverso dal tipo di effetto! Ci sono solo due modi in cui il contratto può concludersi: modo consensuale o reale.
REALITA’: affinché quel contratto si concluda, è necessario, oltre al consenso, una consegna della cosa, che sia essa effettiva o simbolica. Fino a quando non si ha la DATIO dell’oggetto, il contratto non è concluso.
Contratto reale: attiene al modo in cui si è concluso (ci deve essere anche la TRADITIO).
Contratto ad efficacia reale: l’effetto che il contratto produce (trasferimento della proprietà).
ESEMPI:
*     Contratti di locazione: è contratto consensuale ad efficacia obbligatoria (ciò che discende è una serie di obblighi al locatore e al conduttore, che avrà come principale obbligo quello di pagare il canone).
*     Compravendita: è contratto consensuale ad efficacia reale, ovvero che si perfeziona con il legittimo ambio di consensi e con l’effetto di trasferire la proprietà tra il compratore e l’acquirente. Si trasferisce, in sostanza, LA TITOLARITA’ DEL BENE.
*     Deposito (art. 1766): è contratto reale ad efficacia obbligatoria. Io consegno ad una parte una cosa perché me la custodisca per un certo periodo. Concludo il contratto con la traditio. Efficacia solo obbligatoria (io pago qualcosa e loro mi restituiscono il bene quando lo richiederò). Altro esempio è il COMODATO (ex articolo 1803 - 1804).
*     Mutuo: è contratto reale ad efficacia reale. Il contratto di mutuo (io presto qualcosa a qualcuno) si perfeziona con la consegna e ha l’effetto di trasferire le cose del mutuante al mutuatario (ex art. 1813 e 1814). Mutuo è contratto reale in quanto si dice “consegna”.





2^ LEZIONE DIRITTO PRIVATO.

NEGOZIO GIURIDICO: è la figura che racchiude dentro di sé tutte le espressioni dell’autonomia privata (contratti, testamenti, matrimonio…). Vi rientrano anche atti come accordi, atti unilaterali, atti che producono effetti giuridici patrimoniali e non…ma tutti con la caratteristica di partire da manifestazioni di volontà di privati in cui l’effetto giuridico è quello voluto dalle parti. Sul piano della struttura bisogna distinguere l’accordo tra due parti o fra più parti (accordi – contratti bilaterali o accordi plurilaterali, come articolo 2247, il contratto di società). Si possono comunque immaginare rapporti che incidono sull’ambito patrimoniale (contratti), non patrimoniale (matrimonio), atti unilaterali non patrimoniale (riconoscimento di un figlio), atti unilaterali patrimoniali (remissione del debito da parte del creditore a beneficio del debitore). Ma gli esempi qui riportati sono MOLTO limitati.
Tutti questi atti che costituiscono espressione dell’autonomia negoziale vengono riuniti all’interno della categoria del negozio giuridico (macro-categoria che comprende dentro di sé diverse espressioni dell’autonomia negoziale). Ragionare in termini di negozio giuridico consente l’applicazione di norme tipiche di alcuni negozi giuridici, anche ad altri tipi di negozi (seguendo l’ANALOGIA).
Cos’è l’analogia: articolo 12 delle Preleggi. Il secondo comma: prima parte = analogia legis. Seconda parte = analogia iuris. Nel processo civile il giudice si trova davanti ad una controversia fra privati in cui un soggetto (attore) prende l’iniziativa e chiede al giudice una sentenza verso un secondo soggetto (convenuto). Per risolvere una lite tra due privati, il giudice deve applicare la legge generale e astratta al caso concreto (SUSSUNZIONE). Naturalmente darà ragione o torto all’attore e ragione o torto al convenuto.
La sussunzione, quindi, è l’inserimento di una fattispecie concreta ad una astratta. Non tutti i casi concreti, comunque, sono regolati da specifica legge. Il giudice può trovarsi davanti ad una lacuna: il giudice può non avere alcuna specificazione astratta. Allora egli ricorre all’analogia (NON E’ INTERPRETAZIONE): egli applica analogicamente una legge, ricercando disposizioni che regolino casi simili o materie analoghe (fai riferimento all’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale). Il giudice, inoltre, deve fare questo perché non può negare giustizia ad un cittadino che la richieda. Egli deve ragionare così: “cosa avrebbe stabilito il legislatore se avesse preso in considerazione il caso concreto che mi è stato presentato?” Dove il caso presenta un caso di affinità di disposizione, allora si applica la legge più simile.
L’esistenza della categoria generale, in sostanza, dimostra l’esistenza di una EADEM RATIO. Ha senso, quindi, che se in materia di matrimonio vi è una lite, è possibile che il giudice possa andare in cerca fra le norme dettate per il contratto per vedere se c’è la possibilità di applicare regole del contratto al matrimonio. L’esistenza di questa stessa logica giustifica l’applicazione analogica di norme che esistono per altre fattispecie. Fai riferimento, a tal proposito, l’articolo 1324 CC.
Ma cos’è l’ANALOGIA JURIS? Se il caso rimanga ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Il giudice, quindi, in ogni caso non può pronunciarsi con un NON LIQUET (non mi pronuncio). Questi principi sono i cardini dell’ordinamento (non sono enunciati in nessuna disposizione) ma che stanno alla base dell’ordinamento stesso (ad esempio, il principio di economia dei mezzi giuridici -- > si deve cercare di conservare gli atti, si incontra, per esempio, nella norma all’articolo 1367). Vi è un principio superiore (di economicità) che deve garantire che il contratto sia mantenuto nel tempo per evitare di “sprecare” il tempo e le risorse andate perdute.
LA COSTITUZIONE IN MORA
Nel caso in cui il creditore solleciti l’adempimento dell’obbligo (per esempio, il pagamento di un determinato servizio), il creditore METTE IN MORA il debitore (dichiarazione di volontà, NON negozio giuridico).
DICHIARAZIONI DI VOLONTA’
Negozi giuridici.
Non negozi (atti giuridici in senso stretto).
La differenza fondamentale è che la dichiarazione di volontà come la messa in mora mira a dare attuazione al contratto. Col negozio si crea un regolamento di interesse; con l’atto in senso stretto si dà regolamento ad un negozio che già esiste.
Non tutti i comportamenti umani giuridicamente rilevanti sono atti giuridici (vi sono anche i fatti giuridici, come un’auto che tampona un’altra ferma al semaforo). Questi sono fatti umani in senso stretto.
Vi sono anche dei fatti che pur non essendo umani sono giuridicamente rilevanti: il corso del tempo (la legge vi riconduce particolari effetti giuridici). Fai riferimento, a tal proposito, all’articolo 2934.
Il contratto quindi è un accordo (la definizione è contenuta nell’articolo 1321) e ce lo ribadisce l’articolo 1325 che elenca gli elementi essenziali del contratto:
  1. L’accordo;
  2. La causa;
  3. L’oggetto;
  4. La forma quando richiesta dalla legge, a pena di invalidità.
ACCORDO
Senza accordo non v’è contratto. Cos’è l’accordo? Tutti noi sappiamo cosa voglia dire essere d’accordo: il problema giuridico è quello di stabilire se c’è l’accordo (quello è il momento in cui c’è il contratto) oppure stabilire se l’accordo non c’è. Il concetto di accordo è un concetto giuridico, che ha alla base una nozione corrente dell’accordo: l’accordo contrattuale è un concetto formale (l’accordo contrattuale esiste se le parti contraenti hanno tenuto i comportamenti previsti dalla legge per concludere il contratto, ovvero se sono stati posti in essere atti e comportamenti ad uno dei procedimenti adatto a portare a termine un contratto). Fai riferimento agli artt. 1326, 1327, 1333, 1341. Perché vi sia il contratto, vanno rispettate le regole di conclusione del contratto: solo a quel punto si può parlare di contratto concluso. Tutti questi procedimenti hanno la caratteristica di cominciare con una manifestazione di volontà con la quale uno tra i contraenti prende l’iniziativa di rivolgersi ad un altro contraente chiedendogli se intende concludere un certo contratto: PROPOSTA CONTRATTUALE.
Questa è la dichiarazione con la quale un possibile contraente si rivolge ad un altro possibile contraente chiedendogli se intende concludere un determinato contratto. Questo è l’inizio di uno tra i procedimenti di conclusione del contratto.
Prima di arrivare alla proposta, v’è una fase in cui i possibili contraenti discutono dei termini di un possibile contratto. Questa fase è detta precontrattuale o della TRATTATIVA. Queste trattative si dicono PRE-CONTRATTUALI e la legge, ex articolo 1337, afferma: le parti devono comportarsi secondo buona fede. La legge sceglie un modo di esprimersi piuttosto particolare: la legge non dice cosa una parte deve fare o meno, cosa una parte può fare o meno (non v’è regolamentazione puntuale), ma v’è una regola generale, formulata in termini di CLAUSOLA GENERALE. Viene, infatti, enunciata clausola che deve essere precisata rispetto alla singola concreta trattativa. Ma cosa vuole dire “buona fede”? Essa è solo UNA delle clausole generali.
LA BUONA FEDE
Viene intesa solitamente in due sensi: oggettivo e soggettivo. Nella materia delle obbligazioni e dei contratti (salvo alcuni casi) si fa riferimento alla buona fede in senso oggettivo. Quando si tratta della proprietà e dei diritti reali, la buona fede viene intesa in senso soggettivo.
Oggettivo: canone di comportamento, comportamento secondo buona fede, leale e corretto, in sostanza. Tizio è in buona fede se durante le trattative si comporta in modo leale e corretto: esprime una regola di comportamento.

Soggettivo: si dice in buona fede la persona che non sa, che ignora di ledere un diritto altrui. “Ho preso in buona fede quella cosa, credevo fosse mia, ma non lo era”. In sostanza: non sapevo di aver preso una cosa non mia.

2^ LEZIONE FILOSOFIA DEL DIRITTO.

PROSPETTIVE DEL DIRITTO
Abbiamo già detto: norma, azione e giudizio (far riferimento alla I lezione). Quindi stiamo facendo riferimento alla concezione NORMOCENTRISTA (cfr. I lezione). Naturalmente dalla prospettiva in cui il GIUDIZIO è posto al centro si parla di diritto di pragmatico. Quindi il normocentrismo porta la norma al centro e azione e giudizio a gravitare attorno.
OMNIS DEFINITIO IN IURE EST PERICULOSA --> ogni definizione del diritto è PERICOLOSA (Giavoleno). Ovvio quindi che così come il medico deve esaminare quello che succede nella storia di ciascuno degli ammalati, così il giurista si deve occupare dell’esperienza sociale. Ma cosa succede nell’esperienza sociale? Si svolgono un’innumerevole quantità di liti, di volontà che tra loro confliggono. Il giurista quindi è qualcuno che non solo deve studiare le costituzioni, i codici…ma è anche colui che scende in piazza e ragiona sui mutamenti sociali. Il suo compito è quello di analizzare la lite, la controversia. La società umana, infatti, non è una società di UGUALI, ma è una società di controversi, di INSOCIEVOLEZZA, di naturale conflittualità. Il diritto, infatti, deve ricomporre queste fratture.
La controversia, naturale caratteristica dei rapporti sociali, deve essere discussa e organizzata in modo non violento, laddove si produce il giudizio. Qual è l’elemento veramente concreto del diritto in sostanza? L’esperienza, la liberazione dal pregiudizio (la norma, infatti, è sempre generale e astratta). Solo partendo dai FATTI (EX FACTO ORITUR IUS) si può essere un buon giurista.
L’unico elemento davvero concreto del diritto, quindi, è la controversia che si organizza davanti al giudice: processo. Quindi la processualità è la prospettiva che il giurista deve assumere. Bisogna quindi cambiare prospettiva di guardare il diritto: bisogna interpretare la norma, l’azione e il giudizio sotto un diverso punto di vista. Bisogna accorgersi che v’è prima la controversia, ovvero il momento processuale: cos’è la norma? Cosa l’azione? Cosa il giudizio?

LA NORMA IN PROSPETTIVA PROCESSUALE
La norma è la soluzione, la composizione del caso controverso che sta alla base, e aiuta i giudici a risolvere il caso. È la soluzione che la legge dà perché il giudice risolva la questione concreta. La norma deve essere la prova per condannare od assolvere qualcuno. Cicerone diceva che la legge è TESTIS AC ADIUTRIX (testo e aiutante).

L’AZIONE IN PROSPETTIVA PROCESSUALE
È la fattispecie concreta, è il fatto controverso che concretamente viene portato davanti al giudice. Di questo fatto si sente il racconto dai testimoni, dai documenti, dal contratto, dai verbali. QUESTA è controversia: questo è diritto. NE CIVES AD ARMA VENIANT = affinché i cittadini non vengano alle armi.

IL GIUDIZIO IN PROSPETTIVA PROCESSUALE
È tutto l’insieme di atti che sono coordinati e diretti alla composizione della controversia (composizione = soluzione). Sono un insieme di attività coordinate tra loro che si svolgono in un luogo figurato che si chiama processo e dirette alla decisione del giudice.
CONTROVERSIA
Il fatto su cui ci si deve concentrare soprattutto è il caso controverso, fenomeno naturale dell’esperienza sociale. La famiglia è il luogo, per esempio, dove la controversia è all’ordine del giorno: laddove vi siano, queste fratture vengono presto ricomposte. Diamone delle definizioni:
-        Logica: la controversia è un’opposizione, è un’ANTILOGIA ovvero una contrapposizione tra una proposizione (un concetto) e un’altra. Esempio: essere – nulla. Dal punto di vista logico ci si accorge che ogni discorso è pieno di contrasti e per risolverli vi è il diritto.
-        Etica: la controversia è una contesa. È un duello e un contrasto (cfr. bioetica).
-        Giuridica: la controversia è una lite. “Lis” in latino significa “causa”, controversia sotto un punto di vista giuridico in sostanza. La contesta, la disputa…sono tutte prerogative connaturate nella natura umana.
Processo: controversia giuridica organizzata (ottima definizione di processo).

CARATTERI COSTITUTIVI
La controversia è INNEGABILE: la controversia non può essere in alcun modo smentita.
È contraddittorio tentare di negare la controversia. Logicamente, infatti, essa è opposizione, contrasto. Provare a negare l’opposizione (la mia volontà NON confligge con altra volontà) è come tentare di negare la negazione attraverso un’opposizione (tento di obiettare ciò che di sua natura è già obiezione: creo come conseguenza una controversia). Controverto sulla controversia? Mi contraddico.
Non si può trascurare l’opposizione. La controversia è differenziazione, diversità: non posso pensare qualcosa di diverso se non altra controversia. Non posso restare indifferente!
È necessario, dunque, rispettare la controversia (non posso negarla perché rischio di essere dogmatico); devo accoglierla pur non essendo d’accordo (devo rispettarla), ma DEVO anche discuterne (l’altro è avversario, NON è un nemico da neutralizzare).

Per concludere: il diritto è controversia. Dobbiamo RISPETTARE la lite e DISCUTERLA. Il diritto è contrasto, lite, opposizione.

mercoledì 4 marzo 2015

1^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Un principio fondamentale della nostra organizzazione sociale è il principio di autonomia privata. Tale principio è un baluardo che sta alla base del nostro modo di vivere.

Nello stato laico v’è nella vita sociale, un binomio intoccabile tra il concetto di libertà e quello di responsabilità. Qualsiasi comportamento che sia esercizio della libertà include comportamento responsabile. L’esercizio di libertà deve essere inserito in un codice di responsabilità di attività che compie.
In un sistema di sottomissione, invece, la remunerazione/punizione di un individuo non avvengono in questa vita, ma in un momento futuro. Proprio perché le libertà comportano responsabilità individuali, l’individuo cerca sempre di fuggire dalla responsabilità. È spunto di riflessione per autonomia privata: facoltà di un cittadino di volere delle cose in un modo tale che la volontà del singolo produca effetti giuridici (l’individuo è in grado di produrre gli effetti giuridici che vuole produrre).  La legge garantisce che quello che è voluto sarà un effetto giuridicamente rilevante. Il potere che ci è attribuito di produrre effetti giuridici coerente alla nostra volontà si chiama POTERE DI AUTONOMIA PRIVATA / AUTONOMIA NEGOZIALE / LIBERTA’ CONTRATTUALE. Questa autonomia privata si traduce in atti di volontà, decisioni individuali. Il contratto, importante espressione della libertà contrattuale, non ne è l’unica (art. 1321). Questo è un accordo che produce effetti giuridici: tale effetto giuridico riguarda la sfera patrimoniale (misurabili in denaro). Per questi rapporti giuridici esiste un luogo (spesso figurato) che si chiama mercato. L’autonomia privata non riguarda solo rapporti patrimoniali o solo ipotesi di accordo (vi possono anche essere delle manifestazioni di volontà di una sola persona). L’esempio più ovvio di decisione di due persone che produce effetti giuridici è il matrimonio, il quale produce come effetto giuridico la nascita del coniugio. Il matrimonio è espressione di autonomia privata, quindi, ma non è rapporto patrimoniale. Il rapporto di coniugio, quindi, nasce solamente da matrimonio (NON da convivenza). Fai riferimento a tal proposito agli articoli 143, 144, 147.
In altri casi il potere di produrre effetti giuridici è riconosciuto all’individuo singolo: testamento, ad esempio. Perché mai l’erede può essere chiunque? Perché la legge riconosce all’individuo la possibilità di disporre delle proprie sostanze fino a che non cessa di vivere. L’autonomia privata, peraltro, comporta una responsabilità: è una libertà, è vero, ma noi tutti siamo anche vincolati agli effetti che abbiamo voluto. Nel contratto questo emerge con forza nell’articolo 1372. Nel principio di autonomia privata v’è un elemento di responsabilità e di libertà. L’elemento di libertà emerge sul piano delle disposizioni codicistiche all’articolo 1322. La libertà contrattuale, in sostanza, è la libertà di stipulare o non stipulare contratti e di stipulare il contenuto di tali contratti.
Se l’articolo 1322 non presentasse l’avverbio “liberamente” vi sarebbe una lacuna di significato normativo. “Liberamente”, infatti, non sta ad indicare solo se le parti sono libere o meno di concludere o meno il contratto, ma soprattutto che non vi sia alcun disturbo esterno nel processo mentale. In sostanza: ogni dichiarazione di volontà è frutto di un processo mentale che si traduce poi in un’esternazione di volontà. La legge esige che questo sia per l’appunto un percorso libero, un percorso sincero: non vi devono essere fattori esterni che disturbino il formarsi della mia volontà. In questi casi il contratto è INVALIDO, in quanto frutto di una scelta non libera. Non sono considerate libere nemmeno tutte quelle scelte dettate da tutti quei soggetti che non siano maggiorenni. Tutte queste libertà non sono ILLIMITATE ma subiscono delle restrizioni di volta in volta previste dalla legge; laddove non vi siano restrizioni, il principio che vale è quello di autonomia privata.
V’è un contratto se due o più persone si trovano d’accordo sulla stipula del contratto stesso. Tale accordo è espressione di una caratteristica fondamentale del diritto privato: il diritto privato è il ramo del diritto che riguarda rapporti fra pari (essere umano – essere umano, persone giuridiche – essere umano…). La condicio sine qua non è che entrambi si trovino su un piano di PARITA’. Se nessuno di noi ha più poteri, allora costui non può comandare sugli altri: le parti sono d’accordo di loro spontanea volontà. Nel diritto privato il principio di autonomia contrattuale disciplina rapporti di PARITA’ (esprimendo interessi INDIVIDUALI).

Dato che i privati sono soggetti che si trovano in situazioni di uguaglianza, la volontà di uno non può produrre effetti che vadano a scapito della volontà dell’altro. Il diritto privato, insomma, è il diritto di scelte libere e sincere. D’altra parte la persona che conclude il contratto è responsabile della propria decisione.