venerdì 20 marzo 2015

3^ LEZIONE AGGIUNTIVA DI DIRITTO PRIVATO.

Il diritto potestativo è quello speciale potere di agire che la legge concede al fine del soddisfacimento di un proprio interesse. Utilizzando tale diritto (e quindi perseguendo lo scopo di soddisfare un proprio interesse) il soggetto si pone in una posizione di supremazia rispetto a colui il quale subisce tale supremazia. Da una parte, perciò, vi è il diritto potestativo, dall’altra vi è uno stato di soggezione. Lo stato di soggezione implica che chi si trova in questo stato subisce l’azione del soggetto che esercita il diritto potestativo e vede la sua sfera giuridica ridotta dall’agire di chi agisce (ripetizione cacofonica ma necessaria) per un proprio interesse.
Il PROPRIO interesse contraddistingue il diritto potestativo da quegli altri istituti in cui qualcuno agisce per l’interesse di altri (POTESTA’: uffici di diritto privato, dove il soggetto agisce per l’interesse di un soggetto che, solitamente, non ha la possibilità di agire in proprio e che quindi deve essere tutelato). Questo è un potere-dovere di agire per soddisfare l’interesse di un soggetto che non può agire in proprio (POTESTA’ GENITORIALE, potere di agire che la legge impone ai genitori per soddisfare l’interesse dei figli).
CONCETTO DI STATUS
Lo status viene identificato anche con il termine STATO DELLA PERSONA ed è una qualifica del soggetto nei confronti dell’ordinamento (ciò che quel soggetto è per l’ordinamento -- > status di cittadino, figlio, genitore, coniuge…). La particolarità è che è una qualifica NON disponibile: chi è coniuge lo è perché così stabilisce l’ordinamento, ma non è che costui può cedere ad altro tale status. Sono qualifiche nei cui confronti l’ordinamento appresta delle AZIONI DI ACCERTAMENTO (tutele accertative autonome), azioni in giudizio che consentono l’accertamento di quello specifico status (ad es. Tizio è convinto di essere figlio di Caio -- > Tizio può agire in giudizio per accertare il suo status di figlio). Oltre ad avere tali azioni, hanno anche una PUBBLICITA’, per rendere noti ai terzi tali qualifiche: sono pubblicizzati attraverso il registro dello stato civile.
LE OBBLIGAZIONI PROPTER REM
Le obbligazioni (vincolo giuridico che lega un soggetto attivo ad un passivo -- > il passivo ha degli obblighi verso l’attivo -- > tale vincolo è OBBLIGAZIONE) sono dei diritti soggettivi relativi, perché il creditore potrà ottenere la prestazione dal debitore e solo da lui (e non sono ASSOLUTI, ove il creditore potrà ottenere tutela ERGA OMNES). Il vincolo dal contenuto NON patrimoniale è un OBBLIGO (con contenuto PATRIMONIALE è OBBLIGAZIONE). Le obbligazioni PROPTER REM hanno una specifica in più rispetto alle ordinarie: SONO LEGATE AD UNA RES, ad una cosa. Il soggetto nei cui confronti è possibile richiedere obbligazione non è più il soggetto passivo dell’obbligazione (debitore) ma è colui che ha un determinato rapporto con la RES. Si dice anche che queste obbligazioni SEGUONO LA COSA (ad es. le spese condominiali. È previsto che anche il nuovo acquirente dell’appartamento, assuma le obbligazioni ad esso legate).
La facoltà viene identificata con quella situazione in cui il soggetto ha la possibilità di tenere determinati comportamenti leciti. In mancanza di tale possibilità si sarebbe nel campo dell’illecito (se non seguo un comportamento lecito, esso sarà naturalmente illecito).
Parlando di atto illecito, bisogna trattare dell’articolo 2043 (uno dei pochi articoli da ricordare a memoria). In questo articolo c’è il fondamento della responsabilità extra-contrattuale. È il caposaldo nel nostro ordinamento dell’illecito aquiliano.
a)     QUALUNQUE FATTO DOLOSO O COLPOSO: cos’è un fatto giuridico. È un accadimento che ha delle conseguenze sul piano giuridico (non tutti i fatti hanno la qualifica di giuridici, però). Si dicono “fatti giuridici” quelli che hanno conseguenza giuridica. Questo fatto viene posto in essere indipendentemente dalla volontà e dalle conseguenze giuridiche. Questo lo distingue dall’atto, che riassume la manifestazione di volontà di cui il soggetto vuole gli effetti giuridici. Il fatto è un mero accadimento umano (Tizio non frena e tampona Caio -- > fatto giuridico perché l’ordinamento attribuisce una conseguenza giuridica). DOLOSO o COLPOSO: il nostro ordinamento pretende che il fatto sia posto in essere con intenzionalità o con inosservanza di norme cautelari (assenza di: prudenza, diligenza o perizia). Da questa dicitura si capisce che il fatto puro e semplice non è sufficiente per obbligare al risarcimento, ma deve essere doloso o colposo. È richiesto elemento soggettivo. Da questo scaturisce che la natura dell’illecito è fatta da:
a.     Elementi oggettivi (fatti);
b.     Elementi soggettivi (dolo o colpa);
c.     Che tra conseguenze e fatto vi sia un nesso di causa.
b)     CHE CAGIONI AD ALTRI UN DANNO INGIUSTO: ma come si fa a sapere se il danno ricevuto è CONTRA JUS o meno? L’ingiustizia del danno è equipollente al verbo “risarcire”. Ma come si fa a sapere se è giusta o meno la lesione di un diritto? Il fatto che l’ordinamento non dica cosa sia il danno ingiusto, è concetto esprimibile con la “atipicità” dell’illecito civile. Ciò significa che non si troverà mai un elenco nel codice che riporti i danni ingiusti: la qualifica è lasciata all’interprete e alla sensibilità della società nel tempo. L’illecito civile, e questo deve rimanere bene impresso, è ATIPICO. Ciò che è ingiusto può essere risarcito: ciò che non viene riconosciuto come tale non viene risarcito.
c)     OBBLIGA CHI HA COMMESSO IL FATTO: l’articolo 1173 (I articolo del libro IV): sono fonti di obbligazioni il contratto, il fatto illecito… Dopo tale enunciazione nel codice vi è una lunga sequela di articoli (tutto il libro IV) dove si parla delle obbligazioni in generale e dove (dal 1320 in poi) si parla del contratto; dopo si approfondisce parlando di specifici contratti (1470 in poi); finisce coll’arrivare attorno al 2033 (altri atti e fatti fonti di obbligazione). Infine dal 2043 in poi vi è il fatto illecito, che chiude il libro IV (ultima fonte di obbligazioni). Tutto il blocco tra il 1173 e il 1319 sulle obbligazioni in generale si applica a TUTTE LE OBBLIGAZIONI (che nascono da questo, quello o quell’altro).
!!! BISOGNA SAPERE IL NUMERO E I TITOLI DEI LIBRI !!!
                  L’obbligazione nascente è quella di risarcire il danno. L’obbligo cade su chi ha commesso il fatto. Tuttavia vi sono delle ipotesi di responsabilità indiretta che impongono il risarcimento ad un               soggetto diverso da chi lo ha commesso. Tale regola subisce eccezioni in relazione a fatti commessi             da minori o da soggetti con limitata facoltà d’agire. La legge prevede che in questi casi rispondano     coloro i quali avevano l’obbligo di sorveglianza su chi ha commesso il fatto. Attenzione! Il 2047                afferma che il fatto si riferisce a chi non ha la capacità di intendere e di volere! (Un ragazzo di 16-17              anni non è esente da tale capacità). Non si confonda la capacità di intender e di volere con la               capacità legale. Ciò che si intende con questo articolo è che rispondono entrambi, tanto il                  responsabile quanto coloro che ne avevano la sorveglianza. La risposta alla domanda “Chi risponde            del danno cagionato da un minore?” quindi si dovrà articolare in due diverse parti (se è capace di        intendere e di volere, lui stesso e i genitori; se non lo è, solo i genitori).


d)     A RISARCIRE IL DANNO: quale danno va risarcito? La giurisprudenza si è adoperata moltissimo per stabilire cosa fosse un danno ingiusto. Vi sono danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e danni non patrimoniali (art. 2059, riconosciuto anche come danno morale: patimenti, sofferenze, conseguenze del danno…è un danno TIPICO. Può essere risarcito solo nei casi previsti dalla legge). V’è poi anche un’altra categoria di danni, detti BIOLOGICI. Mentre il danno patrimoniale è percepito come una conseguenza dell’evento, il danno biologico è percepito come un danno in sé. È un danno EVENTO: che Tizio rompa la gamba di un comune mortale o di un ricco uomo d’affari, nulla cambia. Viceversa, se Tizio investe un pover’uomo o un ricco uomo, il lucro cessante sarà diverso. L’obbligazione sarà quello di risarcire il danno, patrimoniale e non (anche il danno biologico). Tutto ciò che è obbligazione di risarcire il danno che non deriva da contratto è fatto illecito. Negli anni si è sostenuto che il creditore (il danneggiato) deve dimostrare che ha avuto un danno, che è conseguenza del fatto del danneggiante e che il danneggiante l’ha fatto con dolo o colpa. Questa regola, negli anni, è diventata un’eccezione: la maggior parte delle ipotesi in questo campo sono forme di responsabilità OGGETTIVA (il danneggiato, cioè il creditore, non deve dimostrare il dolo o la colpa). Si parla di OGGETTVITA’ perché viene meno l’elemento soggettivo. Il legislatore ha previsto che determinati soggetti solo per il fatto di rivestire una certa qualifica, di avere un determinato rapporto con la cosa, rispondono del danno. AD ESEMPIO: Chi esercita un’attività pericolosa risponde del fatto per il solo fatto che esercita tale attività (chi ha subito il danno non deve dimostrare il dolo o la colpa). Il solo fatto di essere TITOLARE di un’attività pericolosa, fa rispondere costui del danno (senza dover far valere l’elemento soggettivo). I latini dicevano UBI COMODA, IBI INCOMMODA (“chi ha onori, ha anche oneri”). Fai riferimento all’articolo 2050, 2051, 2052, 2053.

8^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Art. 1341 II comma: la protezione offerta dalla disposizione di legge è piuttosto illusoria. Accanto a questa regola il codice presenta altre due disposizioni: art. 1342 e art. 1370.
Il primo si riferisce a contratti conclusi medianti moduli o formulari: sono testi prestampati con condizioni generali del contratto (il contratto per conto corrente o il contratto per telefonia). Le parti che sottoscrivono il contratto hanno affianco al testo prestampato una particolare regola contrattuale (senza cancellare il contenuto corrispondente del modulo): prevale la clausola aggiunta a penna affianco al modulo. Non c’è minimo dubbio, comunque, che la clausola aggiunta al modulo sia sostitutiva della volontà precedente di una già pronunciata. È una norma il cui contenuto sarebbe desumibile da pura e semplice argomentazione logica. Il II comma, invece, fa riferimento al II comma del 1341 (le clausole devono essere esplicitamente approvate per iscritto, con stessi limiti e stessa scarsa forza protettiva già constatata).
Art. 1362 – 1371: attività di interpretazione del contratto. Alcune sono già state nominate (artt. 1366 e 1367). La norma che ci interessa è quella dell’articolo 1370: le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro rispetto al contraente forte. Le regole descritte sopra sono i tre articoli in cui si parla di condizioni generali del contratto che vedono disciplina di squilibrio di forza tra i contraenti. La disciplina è del tutto inadeguata alla protezione del contraente debole. Queste sono storicamente le prime disposizioni di un qualsiasi codice che ha riconosciuto il fenomeno della contrattazione standard (per condizioni generali). Ha cercato per primo di fornire una qualche misura di protezione per il contraente debole. Sarebbe stato, comunque, più opportuno AGGIORNARE questi articoli e portarli al passo coi tempi (tutti i paesi di economie avanzate si diedero legislazioni speciali: tutti tranne l’Italia). Questo avvenne soprattutto negli anni ’70 (più incisive ed efficaci della legge italiana).
Alla fine degli anni ’80 su questa materia si cominciò ad intervenire con forza ed incisività: la CE approvò e continua ad approvare delle direttive che in svariati settori contrattuali mirano alla protezione del contraente debole. Sono direttive diverse (alcune di portata generale, altre riguardano settori limitati), ma ciò che si può dire di quest’opera fa emergere una figura contrattuale nuova, ovvero quella del consumatore. Questo è il soggetto principale da proteggere: costui stringe contratti con i professionisti. L’attività economica d’impresa viene nettamente divisa dalle libere professioni (avvocati, medici, architetti…). Questa differenza ha portato un dato piuttosto importante, in quanto lo statuto dell’imprenditore non si applica alle libere professioni. Ai liberi professionisti, inoltre, non si applica la disciplina del fallimento. Questa divisione non esiste in altri paesi. La CE ha utilizzato una nozione di professionista piuttosto ampia, che da noi comprende sia gli imprenditori che i liberi professionisti. Di fronte ai professionisti ci sono i consumatori: la nozione di consumatore è “soggetto o persona fisica che stipula il contratto al di fuori dall’esercizio della sua attività professionale”. Per questi contratti si usa l’espressione BtoC (business to consumer) che non si applica tra consumatori né tanto meno ai BtoB (tra businessman). Nei contratti BtoB c’è forte disparità di forza contrattuale che determina un possibile bisogno di protezione per il professionista debole. La spiegazione della tutela del CONSUMER (e non del business) è sostanzialmente politica: non si è mai riusciti ad estendere la sfera di applicazione della disciplina di protezione del contraente debole anche ai businessman. Ci sono, comunque, moltissime normative europee riguardo i contratti. Nel caso di vendita fuori da locali commerciali, il consumatore ha diritto di ripensamento, da esercitare entro 15 giorni dall’acquisto (questo è un esempio). Questa, fra le altre cose, è stata una delle prime direttive che è stata presto integrata da una disposizione la quale dice che il venditore deve chiaramente dire al consumatore che può recedere entro 15 giorni dalla stipula del contratto.
La materia del diritto del consumatore ha visto una legislazione molto estesa: così tanto che ad un certo punto ci si è resi conto che bisognava mettere ordine in tutto il coacervo di disposizioni. Nel 2005 il Parlamento ha approvato una legge di riordino della materia con il “CODICE DEL CONSUMO”. Da un lato il codice offre spunti di riflessione da un punto di vista: si tratta di norme che non parlano di BtoB.
Rispetto al tema della conclusione del contratto ci vogliono ancora 3 puntualizzazioni.

  1. Diritto di revocare la proposta contrattuale: art. 1328, la proposta può essere revocata fin tanto che il contratto non è concluso. L’articolo 1328 è formulato in modo tale che si possa applicare a tutti i contratti (escluso quello previsto dal 1333). Siccome soltanto la previsione del contratto del 1326 prevede la fine del contratto con l’accettazione, ecco che il 1328 è applicabile solo al 1326 e non ad altri.
  2. Tutti i procedimenti di formazione del contratto di cui abbiamo parlato cominciano con una proposta con atto unilaterale recettizio. Può accadere che l’iniziativa venga presa da un soggetto che non si rivolga alla persona singola, ma al pubblico (si pensi ad un cartello in cui si dica “offresi in locazione bilocale situato in Piazza X per 400 euro al mese”). L’offerta di concludere il contratto non è rivolta ad un singolo individuo, ma a chiunque sia interessato alla locazione dell’immobile. L’atto di iniziativa può avere due rilevanze diverse:
    1. Art. 1336: qui ci si trova di fronte ad atti non recettizi. Non avendo un destinatario determinato, l’offerta al pubblico vale come proposta contrattuale quando contiene gli estremi essenziali (salvo casi particolari) del contratto (quelli contenuti nel 1325). Non si sta parlando tanto dell’accordo, quanto dell’oggetto e della causa (e la forma, eventualmente). Il contratto sarà concluso quando chi ha fatto l’offerta ha conoscenza dell’accettazione di uno qualsiasi dei possibili e molteplici destinatari dell’offerta. Si pensi all’esempio dell’appartamento già formulato. Nel caso mancasse per esempio la via dove è ubicata la casa questa offerta non vale come proposta contrattuale. In questi casi si dice che l’offerta al pubblico vale come INVITO A PROPORRE, cioè chi fa l’offerta invita un qualsiasi destinatario a formulare la proposta contrattuale. Se il proponente riceve una proposta e l’accetta, il contratto è concluso. Si pensi, a tal proposito, ad un’asta. L’asta, tecnicamente, è un’offerta al pubblico (ci si rivolge a chiunque indiscriminatamente): si compra quel bene per tot quantità di denaro. Il banditore, ad un certo punto, dice “Aggiudicato!” e in quel momento il contratto è concluso. L’offerta al pubblico è molto frequente (lo è anche una vetrina di un negozio di vestiti). Questi esempi fanno capire che esiste una grandissima varietà di offerte al pubblico. Questa in termini giuridici si chiama OPA (offerta pubblica di acquisto), come per esempio quando si parla della scalata di una azienda.
  3. 1326, 1327 e 1333: siamo sempre di fronte ad ipotesi in cui i contraenti sono due. Sono meccanismi previsti per contratti bilaterali: il contratto è l’accordo tra due o più parti. Quando un contratto ha due o più parti (tre, quattro…), quando è concluso? Occorre adattare la regola sulla conclusione del contratto bilaterale (1326). Questa regola viene adattata nel senso che il contratto è concluso quando ciascuna parte è a conoscenza della decisione di un’altra. La legge dà per scontato questa soluzione, ovvero l’ipotesi dell’entrata di un terzo nel contratto. Ammettiamo che nell’associazione entrino altre persone (art. 1332), in forza del contratto aperto: si guardi per prima cosa hanno deciso le parti. Per entrare ci sono delle condizioni da soddisfare; ci può anche essere un organo amministrativo che regola l’entrata in associazione di altri personaggi; se manca una previsione che riguarda il modo di entrare nel contratto e se manca l’organo, la dichiarazione deve essere rivolta a tutti gli altri contraenti.

7^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Articolo 1332, II comma: il destinatario della proposta può rifiutare -- > regola: il contratto è concluso. Spesso viene confusa la regola sulla conclusione del contratto rispetto a quella contenuta nel primo comma (il contratto NON è concluso quando giunge a conoscenza la accettazione al proponente). Bisogna associare la conclusione del contratto con l’articolo 1332, II comma. Ex articolo 1333, il contratto è concluso senza bisogno di accettazione, è concluso con l’inerzia del destinatario. La scelta del legislatore si spiega con il fatto che viene codificato quello che succede normalmente nei rapporti interpersonali. Si può ritenere un dato sotto gli occhi di tutti che quando ci viene offerto un vantaggio noi non rifiutiamo tale vantaggio (il destinatario normalmente non rifiuta). Data questa considerazione, si spiega la regola: è normale nei rapporti interpersonali che il vantaggio venga accettato, la scelta legislativa è stata quella di escludere il bisogno della accettazione (se ci si esprime, in sostanza, il legislatore prevede una pronuncia negativa). Il destinatario nella normalità dei casi accetterebbe: questo meccanismo si trova in più parti del codice civile (in materia di successione: legato e eredità. L’eredità è una quota di patrimonio o tutto; il patrimonio è fatto di poste attive e passive. L’erede entra nelle poste attive e nelle poste passive del defunto. Il legatario riceve soltanto il vantaggio, come ad esempio un diritto reale). La conseguenza è che l’erede riceve anche elementi passivi (come i debiti) e può succedere che gli elementi passivi siano maggiori degli attivi. L’erede diventa tale con atto di accettazione: la persona designata come erede deve accettare l’eredità (solo così il “chiamato all’eredità” diventa erede). Il legatario riceve un vantaggio netto: il legatario ottiene il diritto solo quando muore il legatore (il legatario può rifiutare il legato). Il vantaggio non ha bisogno di accettazioni, quindi. Altro esempio è la remissione del debito: art. 1236, la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione, salvo che questi dichiari in congruo termine di non volerne profittare. Il debitore potrebbe avere interesse a rifiutare la remissione del debito (si pensi all’obbligazione del fare: il musicista deve suonare. Il creditore rimette il debito di suonare al musicista. Il musicista comunque suona, perché è interessato a farlo). Al di fuori di questi casi il rifiuto del beneficio è raro.
Questo si informa al solito criterio: il criterio di economicità (non si spreca tempo, lavoro e fatica per accettare un determinato beneficio). In questo modo si risparmia al destinatario il costo dell’atto di accettazione (la soluzione viene giustificata in base a quello che accade nei rapporti sociali, visti alla luce del principio di economicità).
Art. 1341: conclusione del contratto per condizioni generali. Le condizioni generali del contratto sono efficaci dell’altro se al momento della conclusione del contratto costui le conosce o avrebbe potuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (da non confondere con i REQUISITI ESSENZIALI dell’articolo 1325 né tanto meno da confondere con CLAUSOLE FUTURE CHE PORTANO A COMPIMENTO IL CONTRATTO).
Ma cosa sono effettivamente? La norma dell’articolo 1341 (I comma) fa riferimento alle clausole contrattuali predisposte da uno dei due contraenti. Sono parti del contenuto del contratto: queste clausole sono:
-        Generali, ovvero le clausole valgono per tutti i contratti stipulati dai contraenti. Sono destinate ad essere inserite in tutti i contratti stipulati da quel certo contraente;
-        Predisposte da uno dei contraenti (egli ha elaborato, prima della conclusione del contratto, delle clausole generali). Questo contraente prende il nome di predisponente.
È un fenomeno molto diffuso: i contratti che contengono condizioni generali sono quantitativamente la maggior parte dei contratti. La diffusione si spiega con delle considerazioni piuttosto elementari di tipo economico (ci troviamo di fronte ad un soggetto che stipula tanti contratti). Le condizioni generali del contratto sono sempre le stesse e valgono per tutti i contratti di quel contraente (vengono utilizzate in contratti di impresa principalmente). L’imprenditore, infatti, offre al pubblico beni o servizi SERIALI (destinati ad essere utilizzati da massa di possibili clienti). Questi sono anche detti “contratti di massa” (serve a fare capire la natura di questi contratti). Questa caratteristica spiega la diffusione delle condizioni generali del contratto: se un imprenditore deve stipulare diversi contratti, costui ha bisogno che i contratti siano tutti uguali (abbiano, cioè, le stesse regole: ogni cliente stipulerà con l’impresa un contratto regolato allo stesso modo). La ragione è di economicità: si pensi ad un contratto di trasporto (biglietto del treno). Questo è un contratto che si conclude al pagamento del viaggiatore (che paga sempre uno stesso corrispettivo). Immaginiamo che ogni viaggiatore si metta a contrattare le condizioni per ogni viaggiatore: sarebbe un costo smisurato per le ferrovie dello stato. Avere contratti uguali per tutti, è sintomo di efficienza dell’impresa (che altrimenti non funzionerebbe). Le ferrovie dello stato, quindi, non solo dovrebbero assumere milioni di impiegati capaci di fare un contratto come si deve, ma dovrebbero anche avere un mare di avvocati capaci di risolvere le controversie nate in seguito a problematiche per ognuno.
Il vantaggio non è solo per le ferrovie dello stato, ma è anche per il cliente: i costi per gli impiegati e gli avvocati si andrebbero a riverberare sul costo finale del biglietto. Allora è ovvio che questo meccanismo contrattuale corrisponde ad interesse dell’impresa ma anche ad interesse dei clienti dell’impresa (per pagare meno i servizi).
Quantitativamente il fenomeno è molto ampio (trasporti, telecomunicazioni, assicurazioni, depositi, carta di credito…). I contratti per condizioni generali sono quantitativamente superiori rispetto ai contratti negoziati (questi sono contratti in cui vi è trattativa: vi deve essere importanza economica). I contratti che hanno una trattativa sono i contratti più significativi dal punto di vista economica (segna diversità QUALITATIVA dei contratti). Come giuristi, ci si occupa molto di più di contratti negoziati, piuttosto che di contratti con condizioni generali.
Il fenomeno è dotato di ampia rilevanza (economica e sociale): rispetto a questo genere di contratti, il codice detta una procedura di conclusione molto semplificata (art. 1341). Le condizioni generali del contratto, infatti, sono efficaci verso l’altro se erano conosciute o potevano essere conosciute usando l’ordinaria diligenza.

VELOCE NOMENCLATURA:
Chi prepara: predisponente.
Chi aderisce: aderente (al contratto predisposto).
Contratti: contratti standard.

L’aderente può non fare nulla per aderire, non ha bisogno di eseguire, non ha bisogno di accettare. Basta che l’aderente fosse nella possibilità di poter conoscere le condizioni. Il contratto, quindi, può essere efficace anche se l’aderente non conosce le condizioni!
Si può constatare facilmente come spesso ci si trovi davanti al predisponente con una certa consistenza economica (piuttosto ampia) e davanti ad un aderente che ha consistenza molto diversa (piuttosto limitata): si pensi al cittadino che conclude un contratto con le ferrovie. Questa diversa forza economica corrisponde ad una diversità di potere contrattuale: non solo il soggetto aderente non ha quasi mai la possibilità di ottenere una negoziazione del contratto, ma spesso il soggetto aderente non può neppure rifiutare la conclusione del contratto (e questo avviene quando il contratto ha per oggetto dei servizi che servono per soddisfare i bisogni di ciascuno). Sul piano contrattuale noi, infatti, siamo costretti ad allacciarci alla rete di energia elettrica e, sul piano delle condizioni generali, di sottostare alle condizioni contrattuali imposte dall’azienda in questione. Se gli aderenti non hanno la possibilità di scegliere se concludere o meno il contratto, allora l’interrogativo è: che ne è dell’autonomia contrattuale dell’aderente ex articolo 1322? La risposta a tale interrogativo è una risposta che costituisce un problema molto discusso e studiato, nonché dibattuto. Il problema va affrontato rimanendo coi piedi per terra: è, infatti, un contratto inevitabile nella vita di ciascuno. La risposta impone di dire che quello che c’è dell’autonomia privata va innanzitutto protetto (vanno protette le scelte possibili dell’aderente).

  1. La tutela della libertà contrattuale per l’aderente si realizza garantendo (promuovendo) il carattere concorrenziale del mercato (se l’aderente non può interloquire sul contenuto e non può neppure rifiutare il contratto, allora la tutela è affidata alla possibilità dell’aderente di poter scegliere fra più contratti predisposti). Si cerca, quindi, di evitare i monopoli. La natura concorrenziale del mercato è una garanzia per gli aderenti (per gli utenti): la concorrenza fra predisponenti impone ad essi stessi la fornitura di contenuti contrattuali che corrispondano agli interessi del cliente. La concorrenzialità del mercato è una garanzia anche per gli utenti dei beni e servizi che in quel mercato vengono trattati (ci devono essere leggi che tutelino i mercati concorrenziali). L’esempio più famoso è quello delle compagnie petrolifere a cui è vietato costituire dei trust. Il mercato e la concorrenza sono strumento di difesa per l’individuo.
  2. Altri strumenti di difesa si pongono sul piano normativo, ovvero delle sanzioni che riguardano il singolo contratto. In questo rapporto è manifesta la circostanza per cui la maggior forza contrattuale del predisponente espone il cliente a possibili abusi della forza contrattuale (potrebbero crearsi vantaggi smisurati per chi è più forte). Questo è il cosiddetto problema degli ABUSI CONTRATTUALI. La legge risponde con una serie di norme con cui si limita il contraente forte dall’abuso della forza contrattuale. Alcune di queste regole sono nel codice: artt. 1341 (II comma) e parte del 1342. Contiene una elencazione di clausole contrattuali che si chiamano collettivamente “clausole vessatorie”, ovvero clausole che alterano l’equilibrio contrattuale. Le clausole stabiliscono dei particolari vantaggi a favore di chi le ha predisposte o particolari svantaggi a danno di chi aderisce. Tali clausole non sono efficaci, se non sono precedentemente e specificamente approvate per iscritto. Queste sono clausole in cui la legge impone una specifica approvazione scritta da parte dell’aderente, per richiamare l’attenzione dell’aderente su queste clausole e per consentirgli di evitare l’efficacia non firmandole per approvazione specifica. La tutela, però, è largamente insufficiente.

5^ LEZIONE DI ECONOMIA DELLE ISTITUZIONI.

IL CONTROLLO SOCIALE
È un’attività fondamentale per l’organizzazione della nostra società e che garantisce efficienza dei contratti. Se tutti fanno la coda in modo ordinato (senza apprensione), ognuno arriva alla meta nel minor tempo possibile. Se tutti decidono di non fare la coda, vince il più forte, in seguito a tafferugli vari. Se A rispetta la coda e B no, A avrà un alto beneficio, mentre B ci perde. Se questa è l’impressione, tutti cercheranno di fare i furbi: la situazione diventa tesa e i benefici di A e B si pareggiano (a 0).
Potrebbe anche succedere che gli individui decidano di auto-punirsi o di auto-premiarsi: quella minima azione di approvazione in quanto Tizio ha rispettato la coda porta Tizio ad avere un beneficio pari a 10 (dato dal fatto che ha rispettato la coda) a cui sommare anche un generico X, dato dal segno di approvazione di chi vede che rispetta la fila.
All’opposto, se Tizio non rispetta la fila, avrà un beneficio pari a 12 (dato dal fatto che passa avanti a tutti, senza rispettare la fila), a cui SOTTRARRE un generico Y, dato dalle azioni di DISAPPROVAZIONE della gente che l’ha visto “delinquere”.


ULTIMATUM
È un gioco con il quale si divertono molto gli economisti comportamentisti, cercando di elaborare leggi del comportamento. Supponiamo che ci sia una somma di denaro da dividere tra due persone: le due persone raggiungono un accordo per dividere la quantità di 10 (per esempio). A propone; B può accettare. A propone di dividere a metà (5 e 5): la proposta è stata ritenuta FAIR (equa) e A e B si dividono 5 e 5. La proposta poteva essere rifiutata: finivano 0 a 0. A poteva fare una proposta UNFAIR (inaccettabile): 10 vengono divisi 8 e 2 rispettivamente. Se veniva rifiutata da B, entrambi finiscono 0 a 0.
Se il gioco viene ripetuto fra due persone che non si conoscono, è possibile che anche la proposta UNFAIR sia accettata. C’è la possibilità di punire la controparte se il gioco si ripete più volte.
DIRITTI DI PROPRIETA’
I contratti modificano le sfere giuridiche delle parti. Concludere contratti simili, significa trasferire dei diritti su beni da persona a persona. In economia si è ritenuto che il diritto di proprietà sia fondamentale per il funzionamento dello stato. In una visione liberale-classica, il libero mercato funziona autonomamente quando ognuno ha il controllo della propria sfera giuridica ed è titolare di una serie di diritti (anche entrando in relazione con altre persone). Rivendicare i diritti economici è tipico di un’ideologia socialista: per il liberale l’unico diritto tutelabile è quello di proprietà. Il punto di vista individualista è concentrato su questo elemento fondamentale che è appunto il diritto di proprietà. Nella tradizione classica-liberale ci sono le posizioni di:
-        Hobbes: i diritti di proprietà si definiscono con il contratto sociale (senza Stato i diritti non esistono). È solo vivendo in uno stato che l’individuo può vedere riconosciuti i propri diritti.
-        Locke: i diritti di proprietà sono naturali e precedenti il contratto sociale. I diritti ci sono e sono legati alla natura umana. Lo stato è solo una struttura che le persone creano per tutelare i loro diritti che, diversamente, potrebbero essere calpestati.
Se si guarda a questi scritti (che sono seicenteschi, tanto della prima quanto della seconda metà), vi si ritrova il diritto di proprietà TO A PERSON’S LIFE, LIMBS and LIBERTY as well as REPUTATION, HONOUR…
La proprietà della nostra vita, membra e libertà esattamente come la reputazione e l’onore. È quindi qualcosa che definisce la personalità del soggetto (anche qui è un concetto che riprende il concetto latino di SUUM). Il diritto di proprietà è una sfera giuridica che garantisce il controllo della persona per la sua conservazione e la sua difesa. Questa proprietà è ben più ampia di come la intendiamo noi. Questo diritti di AUTO-PROTEGGERSI si traduce nel diritto di escludere gli altri dall’influenzare questa sfera del SUUM. Il diritto di difesa di se stesso giustifica la possibilità di escludere altri dal godimento dei miei beni (dei beni di cui sono proprietario). La parte giuridica è l’ESCLUDIBILITA’: il fatto che io riesca a tenere lontano qualcuno dalla mia proprietà è una questione giuridica, che nasce come estensione della difesa personale. La proprietà così intesa è stata teorizzata come diritto relativo alla personalità e non come semplice DOMINIO sui beni. Oggi il concetto così inteso si è (purtroppo) impoverito in un potere di controllo sui beni (e non più come difesa dell’individuo).
DIRITTI DI PROPRIETA’: INDIVIDUALI o COLLETTIVI?
Vi potrebbe essere un bene che non fa parte della sfera giuridica di nessuno: è RES NULLIUS (è bene occupabile).
Vi potrebbe essere un bene che fa parte della comunità: è COMMONS e non è occupabile (in quanto è di proprietà di tanti, di diverse persone). Sono generalmente controllati da qualche rappresentante o da qualche ente.
Vi potrebbe essere un bene che fa parte di un individuo.
Nella letteratura economica (Garret Hardin, 1968, Tragedy of commons): la mancanza dei diritti individuali porta al sovra sfruttamento dei beni (ricordiamo come esempio la pesca). L’idea fondamentale è che certi beni (non oggetto di proprietà individuali) portano al sovra sfruttamento di beni la cui utilizzazione è libera. Questo ragionamento è chiaro quando si parla di RES NULLIUS (i beni hanno valore economico: perché non vendemmiare finché possibile? Perché non estrarre il petrolio finché c’è? Sono solo pochi esempi). L’uso, naturalmente, non è razionale. Questo è il ragionamento di chi vuole apporre quelle barriere tecniche che garantiscono la escludibilità dall’uso indiscriminato di chiunque. Le risorse che non hanno un costo, in questa idea, vengono usate in maniera “avventata”. Il problema, nel caso dei commons, è un po’ più complesso e dibattuto.
Hardin, e molti altri economisti americani contemporanei (come Ostrom), dimostrano che nella storia si è rivelato essere molto efficiente gestire risorse sotto forma di proprietà comuni, con il rispetto di regole di qualità, che portino al giusto sfruttamento della risorse comuni. I beni comuni hanno spesso bisogno di una amministrazione. Per esempio la regolazione del bene “acqua” è un proprietà su UN SERVIZIO collettivo (non sul bene!). Riuscire a gestire delle risorse comuni può essere molto efficiente (ma può essere anche molto costoso).
TEORIE DELLA PROPRIETA’
1)     Si ha la proprietà privata da teorie naturali (è la natura umana che richiede la proprietà privata): così succede con tante cose che appartengono alla mia sfera. La teoria naturale della proprietà la fa derivare dalla natura umana. La proprietà è un BISOGNO naturale ed universale dell’uomo.
2)     La teoria assiomatica della proprietà tende a farla derivare da azioni specifiche dell’uomo: occupazione e/o lavoro. Presuppone un ordinamento giuridico. Qui siamo in presenza di un diritto molto più “primitivo”.
3)     La teoria legale della proprietà si basa sulla validità degli atti giuridici che hanno prodotto la proprietà. Anche in questo caso si guarda all’ordinamento giuridico (successione – compravendita – acquisto).
4)     Chiesa Cattolica: la proprietà è un diritto naturale, ma l’uso deve conformarsi al bene comune. L’uso deve avere un beneficio socialmente accettabile: la proprietà deve essere considerata come “mezzo” e non come “fine”. Questa comporta tre obblighi:
a.     L’obbligo morale di fare fruttare la proprietà;
b.     Rendere produttivo il procedimento in modo che sia utile al bene comune;

c.     L’obbligo morale a provvedere al sostentamento dei meno fortunati (Tomaso d’Aquino).