sabato 28 marzo 2015

4^ LEZIONE AGGIUNTIVA DI DIRITTO PRIVATO.

Il fatto illecito, quindi, è costituito da elementi oggettivi e soggettivi (dolo e colpa). Dolo e colpa caratterizzano anche l’onere della prova del danneggiato (deve provare che il debitore danneggiante ha agito con intenzionalità oppure con imprudenza, con imperizia o con negligenza). Questo sistema (illecito AQUILIANO) ha lasciato il passo ad un sistema di responsabilità OGGETTIVA (già prevista nell’impianto del 1942). La regola è che il danneggiato creditore è tenuto a dare la prova anche dell’elemento soggettivo: in via eccezionale vi sono delle ipotesi DI RESPONSABILITA’ OGGETTIVA in cui non è necessario che il danneggiato si metta a provare l’elemento soggettivo, in quanto il legislatore stabilisce una presunzione di responsabilità in capo a chi è obbligato a risarcire il danno. Oggi, ormai, i casi di responsabilità oggettiva costituiscono la norma: la legislazione produce norme di derivazione europea in cui si preferisce addossare l’onere della prova in capo al soggetto che trae un vantaggio dall’attività che ha procurato un danno al soggetto debole. Questa è una regola che avvicina il 2043, rimasto ormai residuale, ai casi contemplati nel 1218 (possibile domanda d’esame). La sistematica si applica a tutte le obbligazioni, qualunque sia la sua fonte, in quanto si trova in quella parte di codice in cui si parla delle obbligazioni in generale. Tutto questo salvo che norme successive e specifiche non sia previsto un regime diverso da quello del 1218. Il legislatore presume che il debitore sia inadempiente: un’obbligazione, per estinguersi, deve essere esattamente adempiuta (anche se inesatta). Di questo inadempimento io, legislatore, presumo responsabile unicamente il debitore. In questo modo presumo la responsabilità in capo al debitore. Le presunzioni, ricordiamo, sono IURIS TANTUM (relative, ammettono prova contraria) e IURIS ET DEIURE (assolute, non ammettono prova contraria). Questa responsabilità è IURIS TANTUM, come già dimostra l’articolo 1218, in cui si dice chiaramente che costui può liberarsi da questa responsabilità se prova che l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivanti da causa a lui non imputabile. Quando nel 1218 si dice “derivante da causa a lui non imputabile” si intende caso fortuito o cause di forza maggiore. Se si tratta di cause ignote, costoro rimangono a suo carico. Il 1218, quindi, è fondamento della responsabilità CONTRATTUALE: il 2043, all’opposto, è fondamento della responsabilità EXTRA CONTRATTUALE. Il 2043 risulta ormai articolo residuale: infatti i casi riconducibili al 1218 sono molto più frequenti del 2043. Invertendo l’onere della prova del 2043 pongono l’onere della prova in capo al debitore, come avviene nell’articolo 1218.
Confrontando il 1218 e il 2043, altra differenza è che nel sistema del 1218 il debitore, per rispondere alla obbligazione del risarcimento deve avere la capacità legale di agire; nel 2043 basta la capacità di intendere e di volere.
-        Il debitore è tenuto a risarcire il danno solo se aveva la capacità legale di agire ex articolo 1218: in conseguenza di atto giuridico valido, si è causato un danno. La capacità legale di agire si acquista a 18 anni e si perde con interdizione, amministrazione di sostegno o morte. Queste cause di incapacità vengono certificate da provvedimento giudiziario: questo può essere richiesto da chi ne ha interesse. È necessario provvedere a tutelare qualcuno: la limitazione può essere totale oppure può solo essere INABILITAZIONE (no atti di straordinaria amministrazione) oppure può essere nominato un amministratore di sostegno.
-        Nel 2043 non è necessaria la capacità legale di agire: basta semplicemente la capacità di intendere e di volere. Questa capacità è una capacità di DISCERNIMENTO, di rendersi conto del disvalore sociale del fatto dannoso posto in essere, accertata di volta in volta, che sicuramente hanno tutti coloro i quali hanno raggiunto la maggiore età e che potrebbero avere i minori di età. Questa differenza è nota grazie all’articolo 2047. Ogni volta per questa fattispecie si fa riferimento al minore che corre lungo la pista da sci e travolge tre persone, procurando loro gravi danni (è capace di intendere e di volere, ma non capace da un punto di vista legale).
Altra differenza fondamentale tra il 1218 e il 2043 è il cosiddetto TERMINE DI PRESCRIZIONE. Mentre l’obbligazione di risarcire il danno che nasce dal 1218 genera un diritto di credito che si prescrive in 10 anni, l’obbligazione di risarcire il danno che nasce dal 2043 genera un diritto di credito che si prescrive in 5 anni.
LA PRESCRIZIONE
Quando si parla di prescrizione si parla di un fatto dotato di rilevanza giuridica (fatto vs. atto). Ci sono dei fatti giuridicamente rilevanti perché hanno conseguenze giuridiche, e atti giuridici, ovvero manifestazioni di volontà che producono degli effetti giuridici che il soggetto vuole. Nel fatto il comportamento giuridico, è irrilevante che il soggetto voglia o non voglia conseguenza giuridiche voglia quel fatto che ha determinato.
Il NON FARE del titolare del diritto, per un certo periodo di tempo, genera l’estinzione del diritto stesso: all’inerzia del titolare si verifica una certa conseguenza, ovvero il venir meno del diritto. La prescrizione è:
-        Estintiva: è quel fatto giuridico che corrisponde all’inerzia del titolare per un certo periodo di tempo. Esistono diritti imprescrittibili e che quindi anche l’inerzia del titolare non comporta alcuna conseguenza giuridica: affinché operi la prescrizione c’è bisogno:
o   Che il diritto sia già sorto (art. 2935). Prima di questo termine, l’inerzia del titolare non ha alcun valore.
o   Il diritto deve essere esercitabile: non ci devono essere cause di sospensione del diritto (art. 2941 e seguenti). Riguardano:
§  Una situazione del titolare (il titolare è un minore che non può esercitare il diritto);
§  Le parti sono impegnate in un processo tra di loro, che deve vertere sul diritto della cui prescrizione stiamo discutendo.
§  Riguardano i rapporti tra le parti (tra i coniugi).
o   Il diritto non deve essere esercitato (ci deve essere INERZIA). Tale inerzia può essere interrotta se il titolare del diritto pone in essere l’atto che la legge prevede. Questo atto può essere:
§  Una domanda giudiziale, ricorso all’autorità giurisdizionale affinché si pronunci su un certo diritto;
§  Solo per i diritti di credito, l’effetto interruttivo è richiesto in seguito ad atto di costituzione in mora. In questo caso il titolare del diritto dimostra di avere interesse affinché il suo diritto sia riconosciuto (interrompe l’inerzia).
Il trascorrere del tempo è definito interamente dal legislatore, che definisce a seconda del tipo di diritto quanto è il termine prescrizionale. Il legislatore fissa il termine prescrizionale, ma l’effetto interruttivo è rimesso alla discrezionalità delle parti. L’eccezione di prescrizione, infatti, (Tizio, a cui vado a chiedere i soldi dopo 50 anni, mi può eccepire, ovvero “farmi presente che…”, la prescrizione -- > le parti sono tenute a rilevare l’eccezione di prescrizione, in quanto non è rilevabile d’ufficio) è un’eccezione in senso stretto, fondata sul principio dispositivo delle parti (le parti possono decidere se avvalersi o meno dell’eccezione di prescrizione). In tal caso il giudice non può rilevare tale eccezione d’ufficio. È un’eccezione in senso stretto perché rimessa alla volontà delle parti, PERO’ opera automaticamente. Ciò vuol dire che, una volta trascorso il tempo, il diritto si estingue AUTOMATICAMENTE (IPSO IURE -- > dizione da ricordare molto bene. Il contrario di IPSO IURE è OPE IUDICIS, ovvero: serve una sentenza del giudice che pronunci la descrizione).
PICCOLA PARENTESI: può il creditore rifiutare l’adempimento di un obbligo? Nel caso in cui si parli di bene fungibile, l’ordinamento non riconosce in capo al creditore questa possibilità. Nel caso in cui si parli di bene INFUNGIBILE, l’ordinamento lo ammette.
Quanto tempo deve trascorrere perché i diritti si prescrivano?
-        Ci sono diritti IMPRESCRITTIBILI:
o   Diritto di proprietà: è vero che la proprietà è imprescrittibile, SALVO GLI EFFETTI DELL’USUCAPIONE e LA PRESCRIZIONE DEL DIRITTO DI RIPETIZIONE. Ciò significa che IN TEORIA Tizio rimane proprietario a vita anche se non usa il bene: se qualcuno si comporta come proprietario per un certo periodo di tempo, costui USUCAPISCE la proprietà di Tizio.
RIPETIZIONE: ri-ottenimento, avere la possibilità di vedersi restituire. Se io, come contropartita della proprietà avevo pagato una certa cifra, non ho la possibilità di vedermi restituire la contropartita dopo 10 anni. Tutti i diritti di credito si prescrivono in dieci anni: i dieci anni, infatti, sono il termine ORDINARIO di prescrizione.
o   Diritti legati alla personalità.
Cosa fa eccezione alla regola dei 10 anni? I diritti reali minori (legati al diritto di proprietà, come l’usufrutto, le servitù…che si prescrivono in 20 anni) e alcuni diritti di credito che si prescrivono in tempo minore (risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive in 5 anni; il risarcimento del danno da fatto illecito che deriva da circolazione di autoveicoli si prescrive in due anni; il diritto del premio assicurativo si prescrive in 1 anno).

Se le parti adiscono l’autorità giudiziaria per accertare il loro diritto al risarcimento del danno, il termine per il risarcimento non è più di due anni, ma diventa di 10: al termine del processo, infatti, ci sarà un GIUDICATO che stabilirà che Tizio è responsabile e che deve risarcire il danno patito da Caio con tot euro. Questa pronuncia è un giudicato e la legge dice che per eseguire il giudicato si ha tempo 10 anni: principio dell’ACTIO IUDICATA. Il termine decennale sostituisce il primo, in ogni caso, in quanto si deve eseguire un giudicato (art. 2953).

11^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Il contratto orale che ha per oggetto beni immobili è nullo. Al di là della forma scritta come requisito essenziale del contratto, la forma scritta assolve anche una funzione di PROVA del contratto. Il documento al cui interno sia consegnato il contratto è un requisito essenziale del contratto. Il documento, che contiene il contratto, inoltre, ha il valore di documentazione della volontà contrattuale, utile nel caso di possibili controversie. Il documento è forma del contratto, se richiesto, ma è nello stesso tempo elemento di prova del contratto. Questo discorso ci porta al tema delle PROVE.
Se si fa riferimento all’articolo 1350 ci si trova nel libro VI del codice civile, sezione IV, che si accosta alla disciplina delle prove. Nel libro sopracitato sono contenute le prove dei fatti e delle vicende giuridiche. All’interno della spiegazione del tema del contratto si comincia una parentesi che sarà dedicata alle prove.
Le regole riguardanti le prove sono regole (la cui violazione) comporta delle liti. Le prove sono una parte fondamentale del processo, soprattutto nella fase della difesa legale. Le controversie non riguardano solo l’applicazione di norme giuridiche, ma anche la dimostrazione della fattispecie. Quando il giudice decide su una causa, deve avere delle prove che quella fattispecie (imputata a Tizio) sia effettivamente avvenuta. Non basta una congettura, un’ipotesi. C’è bisogno di una fase detta della ISTRUZIONE PROBATORIA. L’attività dell’avvocato è in parte consistente riguardante l’attività probatoria; l’attività del giudice, invece, riguarda la valutazione di tale attività svolta dall’avvocato. Una caratteristica distinguente il processo civile dal penale riguarda:
-        Il processo penale è ispirato ad un principio INQUISITORIO;
-        Il processo civile è ispirato ad un principio DISPOSITIVO.
Nel primo caso, v’è la ricerca delle prove affidate al PM (pubblico ministero), il quale ha il compito di far dimostrare i fatti che vanno poi sottoposti al giudice il quale deve valutare della colpevolezza od innocenza dell’imputato.
Nel secondo caso, il processo si basa su domande che le parti rivolgono al giudice. Le parti in lite chiedono al giudice una determinata sentenza: Tizio, che non ha ricevuto 1.000.000 di euro per la vendita della sua casa da Caio, chiede la sentenza che condanni Caio al pagamento del prezzo. Caio, a sua volta, negando le ragioni di Tizio, chiederà al giudice di respingere la domanda di Tizio.
Il giudice, ricevute le domande, può accogliere l’una o l’altra domanda. Il giudice decide sulla base delle prove: un caso simile esige che sia verificato che vi sia il contratto; sia verificato l’effettivo prezzo; sia verificato che Caio effettivamente è inadempiente. Nel processo civile sono le parti che devono offrire al giudice le prove volte a dimostrare i fatti su cui le loro domande si svolgono. Il giudice decide sulla base delle prove che gli vengono sottoposte dalle parti. Questo comporta un’attività supplementare per il legale di entrambe le parti. Questa caratteristica spiega la prima regola sulle prove contenuta nel codice e questo è il principio DELL’ONERE DELLA PROVA (art. 2697). Chi vuol far valere un diritto in giudizio, infatti, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Al convenuto è dedicato il II comma, in cui parla di eccezioni. Il convenuto, infatti, può eccepire l’inefficacia dei fatti portati dall’attore o comunque eccepire che il diritto si è modificato o estinto: deve provare i fatti su cui si fonda l’eccezione (fatto ESTINTIVO o IMPEDITIVO). L’eccezione è una difesa su cui si richiede il rigetto della domanda perché i fatti prevedono l’estinzione dell’obbligo. Anche il convenuto DEVE FORNIRE prove di quello che dice. L’attore deve provare i fatti su cui si fonda la sua domanda, mentre il contenuto deve provare i fatti su cui si fonda la sua eccezione.
L’articolo usa la formula DEVE PROVARE. Questo dovere è più che altro un ONERE (comportamento che si deve tenere per ottenere un fatto favorevole a chi tiene il comportamento). La conseguenza è che se l’attore assolve all’onere della prova, dimostrando tutto quello che il giudice richiede, il giudice stesso accoglie la domanda dell’attore (condannando il convenuto). Se l’attore NON assolve l’onere della prova, la sua domanda viene respinta. Stesso discorso vale per il CONVENUTO (il quale si può anche difendere dicendo che l’attore non ha provato nulla). Se il convenuto si difende sollevando eccezioni, anche il convenuto è gravato dall’onere della prova. Su questo principio si scatena una vera e propria battaglia processuale: l’avvocato è abituato a discutere a lungo sull’avvenuta o mancata fornitura delle prove necessarie. Le prove, infatti, salvo nei casi stabiliti dalla legge, sono liberamente valutate dal giudice.
Detto ciò, la materia va affrontata analizzando singoli mezzi di prova che il codice pone a disposizione delle parti. Le prime regole sulla prova riguardano i DOCUMENTI (la forma degli atti, art. 1350) -- > atto pubblico / scrittura privata. Questi sono i due tipi di documenti presi in considerazione nel codice civile come prove: nell’articolo 1350 sono i documenti che devono rispettare il requisito di forma AD SUBSTANTIAM; negli articoli 2699 e sgg da un punto di vista probatorio.
ATTO PUBBLICO: documento con autore particolare. Il documento è redatto con alcune formalità dal NOTAIO o da un altro PUBBLICO UFFICIALE AUTORIZZATO a dare pubblica fede a tale atto. La differenza fra notaio ed altri è che il primo è pubblico ufficiale con competenza a rogare atti con pubblica fede; altri soggetti sono pubblici ufficiali rispetto a singoli determinati atti (ma non per altri: es. Sacerdote). L’articolo 2700 (importante) ci dice quale sia l’efficacia probatoria dell’atto pubblico. La norma afferma che l’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento, nonché della dichiarazione delle parti o di qualsiasi altra cosa avvenuta in sua presenza.
Cosa vuol dire FAR PIENA PROVA? Il giudice, in generale, deve valutare le prove secondo un suo apprezzamento personale. Le prove SEMPLICI (quelle di cui il giudice apprezza la attendibilità) sono diverse dalle PROVE LEGALI (fatti che il giudice DEVE ritenere provati, senza poterne valutare la verosimiglianza). L’atto pubblico è una prova legale indiscutibile e non valutabile dal giudice. Si è sicuri:
-        Della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato;
-        Delle dichiarazioni delle parti (è incontestabile il fatto che le parti lì e allora si sono presentati davanti a QUEL giudice per contestare le loro rispettive situazioni);
-        Degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti: questo è un fatto indiscutibile (il notaio dice: Caio ha pagato a Tizio il prezzo della casa; il notaio dice: oggi ho aperto il testamento di Caio).
C’è uno strumento ultimo per mettere in discussione queste PIENE PROVE: si chiama “querela di falso”, che cerca di dimostrare la falsità dell’atto pubblico. La cosa che va evidenziata è che solo quelli sono i fatti su cui sussiste PROVA LEGALE. Il resto di quello che c’è scritto nell’atto pubblico può essere liberamente valutato dal giudice.
SCRITTURA PRIVATA – ALTRO TIPO DI DOCUMENTO
La scrittura privata è un qualsiasi documento scritto il cui autore non sia né un notaio né un pubblico ufficiale autorizzato. La scrittura privata, come tale, può essere sempre una prova sottoposta al prudente apprezzamento del giudice. Soltanto in alcuni specifici casi la scrittura privata può avere efficacia di prova legale. Questa per essere così deve essere firmata da una parte. La sottoscrizione è lo strumento attraverso cui l’individuo si appropria di una statuizione. La scrittura privata FA PIENA PROVA della provenienza della dichiarazione in due ordini di casi (art. 2702).
-        La persona contro cui la scrittura è prodotta riconosca la propria sottoscrizione;
-        La sottoscrizione è legalmente considerata come riconosciuta (previsti dal codice civile e dal codice di procedura civile).
Nel codice civile la sottoscrizione privata è autenticata dal notaio: qui, il notaio, svolge attività diversa dalla solita. Tizio, praticamente, è qui davanti a me: ha firmato. La firma è di Tizio. Io, notaio, autentico. Cosa succede se Tizio, che appare essere il sottoscrittore, afferma che la firma non è sua? Il notaio, in questo caso, non c’entra. V’è un altro strumento per chi vuol far valere la sottoscrizione di Tizio. Questa è la VERIFICAZIONE GIUDIZIALE della SCRITTURA PRIVATA. Il giudice convoca la parte contestante la paternità della sottoscrizione e chiede a costui/costei di firmare un foglio bianco davanti a lui. Questo documento firmato da Tizio è un documento che contiene delle firme sicuramente autentiche. Si ha in questo modo una scrittura di comparazione sicuramente autentica. Il giudice, avendo in mano la scrittura di comparazione e la scrittura privata con firma contestata, nomina un perito calligrafo: costui confronta la scrittura di comparazione autentica e la scrittura privata contestata. Se da questa verifica risulta che le “mani sono le stesse” allora si ha la certezza che l’autore della scrittura privata è lo stesso autore della scrittura di comparazione.
Se il perito calligrafo verifica che le “mani sono diverse” allora si ha la certezza che l’autore della scrittura privata è diversa da colui che ha prodotto la scrittura di comparazione.
I modi previsti per avere la certezza che chi ha posto una sottoscrizione è l’autore della dichiarazione stessa sono il riconoscimento dell’autore della sottoscrizione, l’autentica notarile della sottoscrizione o il procedimento di verificazione della scrittura privata.
L’articolo 2702 non ne parla esplicitamente (elencando i casi), ma dice “se la sottoscrizione è legalmente considerata come riconosciuta”. Questo ci consente anche di distinguere anche una MAIL da una PEC. La disciplina della PEC fa riferimento ad un contenuto legislativo del 2005. Una mail normale è una scrittura privata che proviene da un indirizzo e viene sottoscritta dal titolare dell’indirizzo. La mail è una scrittura privata PURA e SEMPLICE. Se l’autore nega che la sottoscrizione sia stata effettuata da lui, quella mail non ha alcun valore di prova.

Cos’è la PEC invece? È un indirizzo di posta elettronica che certifica la provenienza della mail: ha una firma digitale che fornisce prova legale indiscutibile che la mail provenga proprio da chi l’ha mandata. Tutti questi strumenti documentali sono idonei a soddisfare il requisito di forma AD SUBSTANTIAM. Essi sono anche idonei a fornire prove di qualsiasi vicenda che possa ingenerare una lite da sottoporre al giudice. Per questa ragione i documenti si chiamano PROVE PRECOSTITUITE. La altre prove (presunzioni, testimonianze…) si formano all’interno del processo civile.

10^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

L’OGGETTO DEL CONTRATTO
La definizione più lineare è quella di “cose o attività disciplinate dal contratto”. Rispetto all’oggetto il codice contiene alcune norme che ne determinano i requisiti, art. 1346 (oggetto POSSIBILE, LECITO e DETERMINATO o DETERMINABILE). La legge richiede che l’oggetto del contratto sia:
-        Possibile: la ragione è sempre (di nuovo) il principio di economicità. Se il contratto ha un oggetto impossibile, il contratto non ha nessuna ragion d’essere. Il contratto, quindi, è attività inutile e spesa altrettanto inutile. La possibilità viene intesa in due sensi: possibilità fisica o materiale dell’oggetto del contratto e possibilità giuridica dell’oggetto del contratto.
o   POSSIBILITA’ FISICA: si fa riferimento alla circostanza che le leggi della fisica consentano una determinata attività. Sarebbe fisicamente impossibile l’oggetto di un contratto che fosse per esempio un contratto di trasporto in cui, in cambio di un pagamento di un determinato prezzo, il vettore si obbligasse a fare una circumnavigazione degli anelli di Saturno. Se la prestazione diventa possibile (art. 1347) prima dell’avvenimento della condizione o della scadenza del termine allora il contratto è valido. Si faccia l’esempio dell’acquisto dei biglietti per un viaggio nello spazio (ancora impossibile ma non per molto).
o   POSSIBILITA’ GIURIDICA: pur non essendo impossibile fisicamente l’attività o il diritto sulla cosa, giuridicamente questo oggetto non è concepibile. Si faccia un esempio: si prenda l’articolo 810 del CC. Ci sono cose che sono anche beni (perché possono essere oggetto di diritti) e ci sono cose che non sono beni (perché non possono esserne oggetto). Il criterio nasce dalla funzione assolta dal diritto di proprietà nell’ordinamento giuridico. Che funzione ha questo diritto? Senza entrare nei dettagli, si capisce che il diritto di proprietà serve a risolvere una questione di appartenenza delle cose. Con questo criterio si individua il soggetto che può dire “questa cosa mi appartiene”. Costui è l’unico soggetto che ha un potere sulla cosa, magari cedendola ad altri, vendendola, facendola utilizzare ad altri. È necessario che ogni cosa debba aver un proprietario, in quanto chiunque potrebbe utilizzare un quid che non è di nessuno: in questo caso nascerebbe un conflitto, risolvibile a vantaggio di chi usa la forza o la furbizia. I conflitti che ne nascerebbero sarebbero dannosi dell’ordine civile e sociale.
Questa esigenza si pone rispetto alle cose che esistono in misura non sufficiente a soddisfare il bisogno di tutti: il conflitto sulle appartenenze può nascere sulle risorse limitate. Non tutte le cose sono risorse limitate: le automobili lo sono (sono beni perché oggetto possibile di diritto di proprietà), la luce del sole non lo è (non è un bene perché non è oggetto possibile di diritto di proprietà). Non è necessario né ammissibile che qualcuno si dica proprietario dell’energia solare. Se ci fosse un contratto in cui Tizio vende a Caio un tot di energia solare, questo contratto sarebbe nullo (la soluzione che ciascuno di noi raggiunge è ottenibile attraverso la possibilità giuridica del contratto).
Abbiamo poi parlato della LICEITA’.
L’oggetto del contratto sono i beni (o i diritti su questo) che le parti prendono in considerazione nel contratto. Quando si parla di liceità, la legge introduce un requisito un solo aspetto dell’oggetto (attività o prestazioni dell’oggetto del contratto): è tutto ciò che è permesso, consentito od ordinato dalla legge. Proprio perché ci si pone all’interno di una valutazione di conformità o di difformità rispetto alla legge è una regola di comportamento, che impone di fare qualcosa o lo vieta. La norma giuridica, essendo rivolta alle persone di cui regola i comportamenti, si rivolge ai comportamenti umani (i destinatari sono loro). Le cose o i beni non sono destinatari di norme giuridiche, naturalmente. La prestazione deve essere lecita, quella parte di oggetto richiesta dalla norma lecita. Nel contratto che ha un oggetto parzialmente illecito, questo manca di requisito essenziale.
DETERMINATEZZA o DETERMINABILITA’
Al momento della stipulazione del contratto devono essere stabiliti i beni sulle quali le parti contraggono (altrimenti il contratto manca del suo oggetto). Senza la determinazione dell’oggetto (ex articolo 1346) non si sa di cosa si stia parlando nel contratto. Occorre che da contratto risultino specificati quali sono i criteri in base ai quali determinare l’oggetto del contratto (non serve, in sostanza, che l’oggetto sia PERFETTAMENTE definito, ma che sia definibile). Rispetto alla determinabilità dell’oggetto del contratto, il codice si occupa (nell’articolo 1349) dell’ipotesi in cui le due parti abbiano affidato la determinazione dell’oggetto del contratto ad un terzo. La determinazione viene fatta da soggetto diverso rispetto alle parti contraenti: ARBITRAGGIO (attività) e (personaggio) ARBITRATORE. L’arbitraggio è la determinazione dell’oggetto del contratto, fatto dall’arbitratore (DA NON CONFONDERE CON L’ARBITRATO, procedimento di risoluzione di liti giudiziari, affidati ad ARBITRI, che sono giudici privati, dotati dello stesso potere della magistratura ordinaria).
L’intervento dell’arbitratore nell’articolo 1349 è concepito in due modi:
-        Arbitraggio SECUNDUM ARBITRIUM BONI VIRI, usando il suo “mero arbitrio”;
-        Arbitraggio SECUNDUM EQUO APPREZZAMENTO, usando il suo “equo apprezzamento”.
Le parti non sono esperte della materia di cui c’è bisogno di precisione e si affidano ad un arbitratore terzo. Per esempio: le parti decidono di vendere la loro abitazione sul Sile. Le parti non sanno il valore di mercato di questo immobile e così chiedono ad un arbitratore (esperto) di determinare il prezzo di mercato del bene immobile.
Nel mero arbitrio le parti non si preoccupano della competenza del terzo. Le parti, semplicemente, si affidano ad un terzo dicendo che qualsiasi cosa egli faccia andrà bene. La differenza fra arbitraggio secondo equo apprezzamento e arbitraggio secondo mero arbitrio ci fa capire come siano molto più frequenti gli arbitraggi SECUNDUM EQUO APPREZZAMENTO. Se le parti vogliono un arbitraggio secondo mero arbitrio devono dichiararlo espressamente (ecco perché la maggiore diffusione del secondo tipo di arbitraggio rispetto al primo).
La differenza fondamentale riguarda non soltanto il modo in cui l’arbitratore esegue il suo incarico, ma anche sotto il profilo della disciplina dei rimedi concessi alle parti contro inadempimenti del terzo arbitratore. Dato che c’è anche il contratto con cui le parti hanno dato l’incarico al terzo arbitratore, può succedere che il terzo arbitratore non svolga bene il suo incarico. Nel caso di arbitraggio secondo equo apprezzamento le parti possono chiedere l’intervento del giudice nel caso in cui:
-        La determinazione manchi;
-        La determinazione sia iniqua od erronea.
Il giudice, quindi, provvederà all’eliminazione della determinazione del terzo arbitratore, per definirne una lui. Gli si chiede un’attività competente e conforme alle regole professionali della sua specifica attività.
Nel caso di arbitraggio secondo mero arbitrio si può impugnare la decisione del terzo arbitratore solo se FATTA IN MALA FEDE. La domanda è: di che cosa ci si può lamentare se ci si è affidati al mero arbitrio? Le persone, quando si affidano al mero arbitrio, scelgono l’imparzialità, perché sanno che la decisione che costui/costei prenderà non sarà iniqua per una delle parti. La mala fede a cui allude l’articolo 1349 consiste nell’ipotesi in cui il terzo arbitratore abbia dolosamente avvantaggiato una delle due parti a scapito dell’altra.
LA FORMA DEL CONTRATTO
È richiesta dalla legge (a pena di nullità). Si parta dalla definizione di forma del contratto (condivisa ormai da tutti gli studiosi): per forma si intende il modo in cui la volontà è manifestata. Questa nozione ci fa capire come in tutti i contratti ci sia necessariamente una forma, perché rileva nell’ordinamento giuridico soltanto la volontà che sia stata espressa all’esterno dai contraenti. La legge, occupandosi dei fatti sociali, si occupa solo di ciò che è manifestato all’interno. La volontà DEVE ESSERE ESPRESSA dagli individui. Se teniamo presente questo dato fondamentale, si può anche capire che se la forma è il modo in cui la volontà è manifestata, allora ogni manifestazione della volontà è stata manifestata in qualche modo. Ogni espressione di volontà ha necessariamente una forma (non esiste contratto senza forma). Le forme sono diversissime. Si possono classificare in due categorie:
-        Dichiarazioni di volontà;
-        Manifestazioni di volontà.
Sono categorie individuate sulla base di regole/criteri che appartengono a quella scienza chiamata “linguistica”: si ha dichiarazione di volontà quando sia espressa per simboli; si ha manifestazione se espressa per SEGNALI. Quando si parla di simboli si fa riferimento all’uso di suoni o di segni che sono il simbolo di un determinato significato. Si pensi alla parola “accetto”. La parola è un suono particolare, a cui per una convenzione diamo un certo significato (lo stesso accade quando leggiamo il segno riconducibile alla parola). La volontà di accettare può essere espressa sollevando e abbassando la testa (assenso da cui possiamo ricavare la volontà di accettare una proposta). Questi sono detti SEGNALI che esprimono ugualmente la volontà (manifestazioni). Le espressioni e le forme della volontà si distinguono in manifestazioni e dichiarazioni. Si può anche constatare come la dichiarazione di una certa volontà possa essere manifestazione di una volontà ulteriore: si pensi ai sottintesi o ai significati impliciti di una dichiarazione (es. contratto di vendita di un edificio ancora non costruito chiavi in mano. Questa dichiarazione contiene la manifestazione di una volontà ulteriore, cioè di impegnarsi a tirar su la casa nei tempi stabiliti).

L’articolo 1325 numero 4 ci dice che uno dei requisiti essenziali è la forma. La forma esiste sempre in ogni contratto: in certi casi la legge richiede una determinata forma a pena di nullità del contratto (non si accontenta di una forma qualsiasi, che c’è in ogni contratto). La legge impone una certa forma alle parti, di esprimere la loro volontà in certi modi. La regola dell’articolo 1325 va letta nel senso che una determinata forma se richiesta a pena di nullità è ulteriore motivo di esistenza del contratto. L’importanza di questa regola si vede nei casi in cui la legge NON imponga una forma a pena di nullità. Si considerino i contratti per i quali non v’è alcuna regola per la forma: le parti possono scegliere come esternare la propria volontà. Tale principio è detto di LIBERTA’ DELLE FORME. Questo principio si riconduce anch’esso al principio più generale della AUTONOMIA PRIVATA (le parti possono regolare liberamente i contenuti del contratto, nei limiti delle norme del diritto positivo; le parti possono regolare liberamente la forma del contratto, salvo che la legge non ne preveda una specifica, così come riporta la formulazione del 1322).