Validità del
contratto: la revoca interviene prima della conclusione del contratto (non
posso parlare di revoca se un contratto è già concluso – > nel momento in
cui il contratto è concluso è produttivo di effetti). La revoca deve
intervenire se è consentito in un momento antecedente alla conclusione del
contratto. Se le parti prevedono un contratto irrevocabile la revoca è
improponibile (deve essere LEGITTIMA ed effettuata correttamente). Le
conseguenze della revoca si incentrano nell’articolo 1327, dal quale si può
ricavare l’obbligo di risarcimento del danno qualora la revoca crei un danno in
capo al soggetto che la subisce (deve essere legittimamente esercitata, quindi,
se non esclusa, e se consentita dalla natura dell’affare). Nel caso di una
proposta ferma ed irrevocabile si richiami l’attenzione su un elemento
essenziale della proposta ferma ed irrevocabile: è tale solo ed esclusivamente
se è apposto un termine (POSSIBILE DOMANDA DI ESAME). È il termine l’elemento
fondamentale dell’irrevocabilità. Nella fase delle trattative, insomma, ex
articolo 1337 (clausola generale), le parti si devono comportare secondo buona
fede. È una nozione molto ampia ed estremamente elastica che si applica a più
circostanze (anche se molto spesso l’interpretazione soggettiva gioca larga
parte nel giudizio).
Il recesso è
tutta un’altra cosa: il contratto deve essere già concluso, perfezionato (è
produttivo di effetti). Il contratto si è concluso, l’atto si è perfezionato, ma
quali effetti produce? Si guardi agli articoli 1372 e seguenti. Dal momento che
questi articoli sono all’interno del capo V, rubricato come “Degli effetti del
contratto”, si deve dedurre che il contratto è già stato perfezionato. Il 1372
è molto importante: stabilito che l’atto si è perfezionato e che quell’atto non
presenta cause di invalidità (atto perfetto), si guardi ora agli effetti. Un
contratto, che nasce dall’autonomia delle parti, ha una forza cogente pari a
quella della legge (le parti si sono affidate ad un regolamento di interessi
con stessa forza cogente della legge). Il risultato di questo accordo ha la
stessa forza vincolante della legge. Questa forza vincolante (contratto) può
essere sciolta: la stessa forza generatrice del vincolo viene meno per volontà
delle parti (cfr. articolo 1321 in cui si dice che le parti si possono
accordare anche per estinguere il rapporto giuridico patrimoniale tra loro
esistente. Ex articolo 1372:
-
Le parti si mettono d’accordo;
-
Altre cause ammesse dalla legge (istituto della
risoluzione, scioglimento del vincolo contrattuale già iniziato per:
inadempimento, eccessiva onerosità sopravvenuta, impossibilità sopravvenuta).
Non si faccia
l’errore di pensare che il contraente X sia sempre debitore e Y sempre
creditore: questo rapporto è variabile rispetto al tipo di obbligazione che si
prende in considerazione. Nel caso della compravendita (art. 1470) si trovano
due figure, acquirente e venditore. Le obbligazioni in capo al venditore sono
elencate all’articolo 1476, mentre le obbligazioni del compratore sono elencate
all’articolo 1498. Se prendo in considerazione l’obbligazione “pagare il
prezzo” il debitore è l’acquirente. Se prendo in considerazione l’obbligazione
“consegnare la cosa” il debitore è il venditore. Nella stessa parte
contrattuale si sommano CONTEMPORANEAMENTE la parte di creditore e quella di
debitore.
Presa in
considerazione la risoluzione, si procede ad un esempio: se io non pago la
fornitura del gas, l’erogante può chiedere la risoluzione del contratto. Se i
parametri non sono definiti, la legge parla di risoluzione del contratto quando
l’inadempimento è GRAVE. Non ogni inadempimento legittima la risoluzione del
contratto (POSSIBILE DOMANDE D’ESAME). L’inadempimento,
dice il codice, deve essere di NON SCARSA IMPORTANZA. Se non si riesce
a dimostrare la gravità dell’inadempimento, non si può ottenere la risoluzione
del contratto (ex articolo 1455). Il legislatore lascia ampio spazio ai casi
concreti: stabilire cosa è grave e cosa no è onere della parte che richiede la
risoluzione. Chi fa la domanda, infatti, ha l’onere della prova e l’onere di
allegare i documenti e i fatti che vanno a supporto della domanda che porgo (ex
articolo 2697, I comma). L’onere è un quid che devo soddisfare se voglio
ottenere un certo vantaggio (in questo caso devo provare anche la gravità
dell’inadempimento).
Per ovviare a
questo problema di dimostrazione/determinazione della gravità del fatto, spesso
le parti inseriscono nel regolamento contrattuale una clausola, detta “clausola
risolutiva espressa”: essa è la decisione in merito a ciò che per me e per te è
consolidato come qualcosa di grave. Essa è molto vantaggiosa, in quanto qualora
si dovesse verificare la circostanza predeterminata come qualcosa di grave, la
parte che vuole ottenere la risoluzione del contratto non deve dimostrare
nulla, in quanto già previsto: è sufficiente la dichiarazione di volersene
avvalere della parte che se ne vuole avvalere (si perdoni il gioco di parole). Nel
momento in cui l’altra parte ne viene a conoscenza il contratto si intende
sciolto.
Nei contratti
sinallagmatici (gli unici suscettibili di risoluzione) la risoluzione opera
quando c’è un non perfetto scambio di prestazione (c’è un contraente fedele e
un inadempiente). La risoluzione va vista come un correttivo ad un rapporto
contrattuale che non si svolge in maniera corretta (se ci si era accordati che
io pagavo il gas che usavo e non lo pago, tu, fornitore di gas, sei legittimato
a non fornirmi più il gas). Altri esempi: io, titolare di compagnia
petrolifera, avevo stabilito di comprare 100 barili di petrolio da Tizio. I
prezzi del petrolio, improvvisamente, salgono e questo crea una SPEREQUAZIONE
tra l’iniziale accordo tra le parti e ciò che va incrinandosi. Questo rende
impossibile la prestazione per eccessiva onerosità. La risoluzione serve ad
interrompere un rapporto nato equilibrato e poi, improvvisamente, sperequato.
Nel caso del
RECESSO: è un potere UNILATERALE. Nella risoluzione non è predeterminata la
definizione di chi possa chiedere la risoluzione stessa: nel recesso, invece, è
un potere nelle mani di una delle parti, o perché lo ha stabilito l’autonomia
contrattuale o perché lo stabilisce la legge. È il potere di sciogliersi
unilateralmente dal potere contrattuale previsto dal contratto stesso o dalla
legge: è il potere che il legislatore solitamente concede al contraente più
debole. Si faccia l’esempio di acquisto di un bene dalle promozioni viste in
TV: in questo caso, essendo fuori dai locali commerciali, chi acquista può
recedere ai sensi di legge (diritto al ripensamento). Perché questo recesso sia
validamente esercitato è necessario che il contratto non abbia avuto un
principio di esecuzione (art. 1373). È impensabile che nei contratti ad
esecuzione continuata (gas, acqua, luce…) non vi sia principio di esecuzione:
il 1373 (II comma) afferma che il recesso non ha effetto per le esecuzioni già
avvenute (ha valore EX NUNC).
Nella
risoluzione non c’è una disciplina specifica per quanto riguarda l’azione:
dieci anni (si mantiene la regola generale, i diritti, di regola, si
prescrivono in dieci anni).
Prescrizioni
presuntive di pagamento: non c’entrano con l’estinzione del diritto. Queste
presumono che sia avvenuto un pagamento, la presunzione riguarda l’avvenuto
adempimento di un’obbligazione (pagamento di corrispettivo). Non si confondano
con la prescrizione del diritto per inerzia del titolare: operano solo sul
piano della prova. Trascorso un certo lasso di tempo, il pagamento è avvenuto
(si presume quantomeno). L’unico elemento in comune sta nel fatto che il
trascorrere di un lasso di tempo è l’unico elemento in comune (lasso di tempo
cui consegue una certa conseguenza giuridica: in questo caso l’inerzia di chi
detiene il diritto, che si estingue). Le prescrizioni presuntive, invece,
ricollegano il trascorrere di un certo tempo ad una presunzione, che una certa
prestazione sia stata adempiuta (presumono il pagamento). L’onere della prova
che così non sia sta in capo a chi sostiene che il pagamento non è avvenuto. È una
presunzione LEGALE.
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