L’IMPRESA
Teorizzare l’impresa per fini
pratici rispetto a quelli che abbiamo incontrato rispetto all’economia
politica, significa guardare ad essa come fascio di contratti e come
organizzazione (basata su transazioni manageriali “non di mercato”). In
economia politica avevamo già notato che la logica era quella del mark up,
nonché della funzione di produzione, nonché inquadrarla come problema
tecnico-ingegneristico. Nel primo caso, ma anche nel secondo, l’impresa era
stata fortemente minimizzata (limite per la comprensione). Vi sono altre teorie
a livello anche astratto che cercano di comprendere la natura dell’impresa per
sottolineare le sue caratteristiche principali. Questa organizzazione, chiamata
impresa, non combina dei fattori come capitale e lavoro in proporzioni da perfezionare,
ma è un centro di produzione e di applicazione delle conoscenze e delle
competenze (molto diverse e coordinabili, nonché organizzabili). Questa
organizzazione basata su transazioni manageriali è quell’intreccio
organizzativo che non gestisce transazioni di mercato: gestire queste
transazioni richiede di creare un ambiente in cui questo sia possibile, e
questo è possibile solo grazie a contratti di lavoro subordinato (a qualcuno).
La transazione manageriale è
compiuta al fine di creare un’attività produttiva (il capo ha un compito, i
sottoposti altri -- > organizzazioni su base privatistica). Questo non è
mercato in quanto ogni singolo contratto può essere il risultato di una
negoziazione sul mercato del lavoro, ma comunque io (capo) mi devo comportare
come DOMINUS. Queste transazioni non sono considerabili di mercato in quanto
non hanno nulla a che vedere con scambi. Le organizzazioni interne alle aziende
non sono basate su criteri di mercato, ma basate su criteri stabiliti dai
manager. Anche quando si studia un sistema di tipo capitalistico si studia come
funzionano queste organizzazioni.
Ma quali sono i fasci di
contratti cui abbiamo sopra accennato?
L’impresa si costituisce
attraverso un contratto associativo e si gestisce attraverso contratti:
-
Contratto ASSOCIATIVO -- > capitale sociale,
personalità giuridica…è il più importante. Si ottiene la personalità giuridica,
in quanto organizzazioni, società. Tale contratto fa nascere l’impresa ed è un
vero e proprio contratto.
-
Contratto di LAVORO -- > subordinazione,
remunerazione…servono per creare le organizzazioni sopra citate. Sono
solitamente, anzi, quasi esclusivamente, contratti di lavoro subordinato
(entrati in azienda qualcuno comanda e altri ubbidiscono). L’impresa (il legale
rappresentante dell’impresa) può stipulare -- >
-
Contratto di FINANZIAMENTO -- > termini,
rendimento, rischio, garanzie…prestiti ad intermediari finanziari. I soci sono
gli unici che possono prestare soldi momentaneamente alle imprese. Chi
sottoscrive le garanzie, il finanziamento, il rendimento…
-
Contratto di FORNITURA;
-
Contratti di VENDITA;
-
Contratti di AGENZIA;
-
Contratti di APPALTO;
-
Contratti di ASSOCIAZIONE DI IMPRESA.
Ogni volta, quindi, bisognerà
scrivere dei contratti (ci vogliono competenze giuridiche). L’impresa può
essere vista come un continuo evolversi di questa rete di contratti.
L’impresa può essere interpretata
come organizzazione rinnovabile: al vertice di questa serie di contratti c’è
quello legato alla gestione aziendale. Nella sua ossatura tale contratto è
semplicemente il contratto associativo: il contratto con cui si dà vita ad una
società di capitali dice quali sono i diritti e le competenze dei soci, chi
nomina gli amministratori, che funzioni hanno, chi avrà la delega per firmare i
contratti…ovvio che in imprese molto grandi le deleghe sono molto frammentate.
In buona parte è nel contratto associativo che si trova come funziona la
società. In questo contratto si scrive tutto: remunerazione, controlli…
Questo rapporto tra proprietà e
controllo è molto problematico: fino a pochi anni fa proprietà e controllo
erano incorporati nella stessa figura. Questa separazione è necessaria tanto
quanto problematica: evidenziato da Berle e Means nel 1934, il tema era già
stato affrontato nel 1870 da Von Liechtenstein e legato a problemi di gestione
dei diritti di proprietà. È difficile, infatti, che il “padrone” abbia una
preparazione specifica (c’è bisogno di manager). Si viene a creare un conflitto
di interessi: l’interesse del padrone, infatti, è la massima remunerazione
possibile; l’interesse del manager, invece, non è pagare i dividendi, ma
l’interesse personale del manager è acquisire una certa reputazione, in quanto
è da questa che si stabilisce il suo stipendio. Il manager è contento di
dimostrare di aver fatto un buon lavoro e tendenzialmente sa che è tanto
indispensabile quanto più cresce l’azienda. Spesso il manager persegue gli
obiettivi della vendita aziendale (produrre, ingrandire, consolidare,
stabilizzare…). Ovvio che allora si viene a creare un controllo sul manager: se
si è quotati in borsa il controllo è addirittura istituzionale. Questa
separazione tra proprietà e controllo è complicata.
I manager, comunque, non sono i
proprietari del capitale, sono coloro che lo gestiscono: sono impiegati al
servizio di un’azienda che gestiscono i soldi dell’azienda in questione.
L’unico potere che ha il socio è
quello di nominare gli amministratori e di approvare il bilancio. La protesta
del socio può solamente limitarsi a questo. L’obiettivo dell’impresa è fare
soldi, creare valore: se aumenta tale valore può essere diviso tra i soci (c’è
un capitale da valorizzare). Questo interesse è sempre in qualche modo da
bilanciare con interessi di altri soggetti NON proprietari del capitale. Ci
sono tanti altri interessi da tutelare in una azienda: c’è l’affidamento di
molte altre persone, sulla vita stabile e regolare di tale impresa. Come
obiettivo abbiamo quello di far crescere il profitto dell’impresa: si può fare
condizione di non urtare troppo gli interessi di clienti, fornitori e
dipendenti. Gli attori sono dividibili in due categorie:
-
SHAREHOLDERS: azionisti (ma con poteri diversi:
maggioranza/minoranza o con/senza diritto di voto);
-
STAKEHOLDERS: portatori di interessi
(lavoratori, banche, fornitori, amministrazioni locali…hanno interesse che
l’azienda sia stabile).
Queste parole sono identificative
con due interessi non coincidenti che gravano sull’azienda.
GOVERNANCE AZIENDALE: su alcuni
manuali viene definita come la tecnica utilizzata per il controllo dei soci. Ci
sono altri contratti che regolano i rapporti con la società e con gli altri
stakeholders: sono tre poli.
DEFINIZIONE: è l’insieme delle regole, ruoli,
diritti-doveri, poteri e responsabilità attraverso cui il soggetto economico
esercita il suo potere di governo sull’impresa e persegue il soddisfacimento
dei propri interessi e di quelli dei “portatori di interessi” (stakeholders).
Il manager non crea solo
profitto: è colui che cerca continuamente compromessi e che spinge al lavoro e
alla motivazione i vari dipendenti per il corretto funzionamento dell’azienda
stessa. Il manager è gravato anche da alcune responsabilità, che alla fine si
sostanziano nella responsabilità sui danni o sul corretto andamento dell’azienda
stessa (in quanto rappresentante fisico della società). La governance è un
problema di distribuzione di poteri all’interno dell’impresa. La governance
aziendale è qualcosa che riguarda il CDA.
La governance aziendale è anche
influenzata da una serie di norme che non riguardano direttamente l’azienda: la
governance fonde elementi generali del diritto con elementi più interni, legati
alla strategia d’impresa. La governance spesso viene modificata per dare voce
anche agli stakeholders (modello tedesco), diversamente dal modello italico, in
cui invece i lavoratori sono rappresentati dai sindacati che, pur non entrando
nei CDA, fanno “sentire la loro voce”. Alcune fattispecie tipiche di governance
sono:
-
Impresa PADRONALE
-
Impresa MANAGERIALE
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