venerdì 13 marzo 2015

2^ LEZIONE AGGIUNTIVA DI DIRITTO PRIVATO.

Articolo 1376 è IMPORTANTISSIMO e DA RICORDARE.
Di regola l’efficacia di una norma è subordinata al trascorrere di un certo periodo di tempo. Di regola il trascorrere di questo periodo di tempo è di 15 giorni (VACATIO LEGIS) -- > periodo tra perfezionamento ed entrata in vigore della norma. I 15 giorni possono essere ridotti (possono entrare in vigore immediatamente, oppure entrare in vigore in un tempo più lungo). A norma dell’articolo 11 delle preleggi la norma non può essere retroattiva, ma dispone solo per l’avvenire: questo concetto aiuta la certezza delle norme giuridiche. La confusione nasce dal fatto che il legislatore non può modificare diritti acquisiti: il concetto di pensione ne è esempio. Negli anni, infatti, cambiano i metodi di calcolo o gli anni per poter andare in pensione. Non è una deroga alla legge per cui la legge stabilisce solo per il futuro, ma poiché va diversamente giudicata la situazione su cui la regola incide.
I casi di perdita di efficacia sono riconducibili a 5 situazioni (DOMANDA PLAUSIBILE ALL’ESAME):
-        Se abrogata, l’abrogazione può essere:
o   Espressa, il legislatore emana una nuova normativa e questa nuova normativa abroga esplicitamente la normativa su cui l’istituto incide;
o   Tacita, vi è incompatibilità tra la nuova e la vecchia normativa. Si applica quella in vigore.
o   Se una nuova norma sostituisce in toto la precedente;
o   Come conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità della norma (questa dichiarazione ha effetto di abrogare ex tunc la norma);
o   Referendum abrogativo (ex articolo 75 Cost.). Ci deve essere un numero di votanti pari al 50% + 1 (quorum costitutivo).
Le norme vanno anche interpretate: l’interpretazione è il motivo per cui esistono giudici ed avvocati. Il primo criterio interpretativo è quello letterale: connessione delle parole e loro significato.
Si passa poi alla RATIO LEGIS, all’intenzione, allo scopo, nel momento in cui il legislatore ha emanato quella normativa. La ricerca dell’idea è il risultato di un’interpretazione logica (art. 12 delle Preleggi).
Va sempre tenuto presente che queste norme si devono relazionare con altri istituti, con altre norme: bisogna sempre fare riferimento al quadro complessivo attuale (ciò che in questo momento è il diritto oggettivo). Questa è l’INTEPRETAZIONE SISTEMATICA.
Questi appena enunciati sono i criteri di COME si deve interpretare la norma. A seconda della FONTE, invece, si distinguono:
  1. Interpretazione autentica, volte in cui il legislatore emana delle normative in cui spiega il significato delle norme precedentemente emanate;
  2. Interpretazione dottrinale, l’interprete è aiutato da accademici: egli può meglio comprendere il significato delle norme;
  3. Interpretazione giurisprudenziale, data dalle sentenze dei giudici. È vero, non siamo in un sistema di COMMON LAW: ma finché ci si trova davanti ad una sentenza della Cassazione, il giudice di primo grado si conformerà (con grande probabilità) alla sentenza di Cassazione.
Qual è il risultato dell’interpretazione?
-        Estensiva: amplia il significato della norma;
-        Restrittiva: restringe il significato della norma;
-        Dichiarativa: la norma è come appare.
L’articolo 12 delle Preleggi dà una serie di indicazioni su come devono essere interpretate le norme. Nel secondo comma viene inserito il concetto di “analogia”: la realtà supera la fantasia, non può essere previsto tutto ciò che il legislatore non può pensare esista (e invece esiste nella realtà). Nell’ipotesi in cui ci siano delle lacune nel diritto, esiste l’istituto dell’analogia. Nell’analogia io applico delle norme ad una fattispecie che ne è sprovvista: nella analogia v’è un vuoto normativo. Come previsto dal legislatore, l’analogia può essere LEGIS o JURIS.
v  L’analogia LEGIS presuppone che vi siano casi simili o materie analoghe: accertare l’esistenza di una lacuna, individuare la norma che regola casi simili ed infine verificare l’esistenza di una medesima RATIO (di un elemento in comune). La medesima RATIO diventa fondamentale criterio per capire se una disciplina è applicabile o meno ad altro istituto giuridico.
v  L’analogia JURIS si applica tutte le volte in cui non è possibile trovare una materia analogia: si applicano i c.d. principi dell’ordinamento. Il legislatore non ci lascia un elenco i principi dell’ordinamento, però! Sono molto importanti, ma allo stesso tempo sfuggevoli. Sono principi dell’ordinamento regole non scritte, ma derivanti e ricavabili da queste, e che mettono d’accordo gli interpreti sull’esistenza di un sostrato del nostro ordinamento giuridico.
I PRINCIPI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO SONO COSA BEN DIVERSA DALLE CLAUSOLE GENERALI!!!
Le clausole generali, infatti, sono norme scritte: essendo generali, sono di applicazione trasversale (si applicano ad una serie indefinita di casi). Un esempio piuttosto noto è il concetto di BUONA FEDE. È una norma di applicazione generale, trovabile (esplicitamente richiamata) in vari articoli, come ad esempio l’articolo 1337. È una clausola generale trovabile anche nel 1175. Ha il vantaggio di poter essere sempre richiamata da una loro specifica previsione legislativa.
SI TENGANO DISTINTI QUESTI DUE DALLE “CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO”!!!
Si fa riferimento alla contrattazione di massa, che il nostro legislatore nel 1942 aveva previsto in modo ben specifico (artt. 1341-1342). Il legislatore afferma che il contratto è concluso nel momento in cui la proposta viene accettata dall’oblato e il proponente conosce l’accettazione (PRINCIPIO DELLA COGNIZIONE). Le condizioni generali di contratto si rivolgono ad una generalità di consociati e hanno un prezzo prefissato, per esempio. Le FS, per esempio, stabiliscono un regolamento contrattuale: colui che si limita ad aderire è tenuto ad aderire alle norme che sono stabilite nel regolamento. All’acquirente sono opponibili se sono conosciute o conoscibili per ordinaria diligenza. Nel II comma si fa un passaggio in più: dove ci sono quelle clausole che comportano uno squilibrio e che sono vessatorie nei confronti di chi aderisce al contratto, queste sono a lui opponibili solo se sono state oggetto di specifica sottoscrizione. L’elenco contenuto nel II comma è tassativo, non suscettibile di estensioni.
Le situazioni giuridiche soggettive sono divise in attive e passive: si concede ad un soggetto il potere di fare determinate cose; un soggetto è tenuto a sopportare che un altro soddisfi un interesse contrastante rispetto alla propria posizione (passivo).
I diritti soggettivi vengono divisi in ASSOLUTI e RELATIVI: se assoluti ERGA OMNES, oppure se RELATIVI nei confronti di UN SOLO SOGGETTO (le obbligazioni, per esempio). Qual è il rapporto tra un obbligazione e un contratto? La confusione nasce dal fatto che spesso la materia risulta troppo astratta, quando invece è la più legata alla realtà. I contratti sono fonte di obbligazioni e il contraente varia a seconda del contratto che si prende in considerazione. Il contraente assume in sé la qualifica di creditore o debitore. Dal contratto nascono più obbligazioni: un contraente può essere debitore di una certa obbligazione ma anche creditore! Dal contratto di compravendita nascono delle obbligazioni: il venditore deve consegnare la cosa; il compratore dovrà pagare il prezzo. Il compratore è DEBITORE nell’obbligazione “pagare il prezzo” (prestazione di dare) ma CREDITORE nell’obbligazione “consegnare la cosa”.
I diritti relativi ricevono tutela solo nei confronti di un determinato contesto. Lo schema dell’obbligazione fa capire come nei diritti relativi, per il soddisfacimento del proprio diritto, si necessiti della collaborazione di una controparte. È diverso OBBLIGAZIONE da OBBLIGO: il primo è diritto relativo con oggetto prestazione di tipo patrimoniale, il concetto di obbligo è diritto relativo con oggetto prestazione di tipo non patrimoniale.
L’onere, invece, è una situazione giuridica soggettiva che pone un dovere di comportamento in capo ad una parte, al solo fine di raggiungere un determinato scopo-risultato. La parte non è OBBLIGATA a tenere quel comportamento, ma lo deve tenere se vuole raggiungere un dato scopo (scelta libera). Questo ex articolo 1456 CC.
Ci sono anche situazioni minori: poteri o facoltà. La facoltà è la possibilità per il soggetto di tenere o meno un dato comportamento. Il comportamento che il soggetto tiene, in assenza della facoltà, è illecito. La conseguenza è il risarcimento del danno (art. 2043 CC). Esistono circostanze in cui la legge prevede un indennizzo pur se si è esercitata una facoltà. La differenza fra risarcimento ed indennizzo è che il risarcimento si ha tutte le volte in cui l’atto compiuto è illecito; l’indennizzo è conseguenza di atto lecito ma, che avendo cagionato danno a controparte, impone per legge il ristoro di una certa somma di denaro. Il risarcimento non è predeterminato dalla legge; l’indennizzo è stabilito dalla legge in maniera TASSATIVA, in cui il soggetto, pur avendo compiuto atto lecito, deve indennizzare chiunque abbia subito depauperamento. Infine, mentre il risarcimento mira a ripristinare in toto quanto è stato ingiustamente leso dall’atto illecito, l’indennizzo funziona a spanne, riconoscendo solo una parte del danno ricevuto.
Correlativamente alla facoltà abbiamo il potere: questo è la possibilità di porre in essere delle azioni che mutano la sfera giuridica dei destinatari. In assenza di potere l’atto sarebbe inefficace. Si riconosce poi uno speciale potere d’agire tutte le volte in cui la legge concede ad un soggetto la possibilità di agire per soddisfare un proprio interesse.

Se l’interesse per cui si agisce si parla di POTESTA’ o di UFFICIO DI DIRITTO PRIVATO. Le potestà sono previste dal codice in riferimento soprattutto ai minori.

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