Articolo 1376 è IMPORTANTISSIMO e
DA RICORDARE.
Di regola l’efficacia di una
norma è subordinata al trascorrere di un certo periodo di tempo. Di regola il
trascorrere di questo periodo di tempo è di 15 giorni (VACATIO LEGIS) -- >
periodo tra perfezionamento ed entrata in vigore della norma. I 15 giorni
possono essere ridotti (possono entrare in vigore immediatamente, oppure
entrare in vigore in un tempo più lungo). A norma dell’articolo 11 delle
preleggi la norma non può essere retroattiva, ma dispone solo per l’avvenire:
questo concetto aiuta la certezza delle norme giuridiche. La confusione nasce
dal fatto che il legislatore non può modificare diritti acquisiti: il concetto
di pensione ne è esempio. Negli anni, infatti, cambiano i metodi di calcolo o
gli anni per poter andare in pensione. Non è una deroga alla legge per cui la
legge stabilisce solo per il futuro, ma poiché va diversamente giudicata la
situazione su cui la regola incide.
I casi di perdita di efficacia
sono riconducibili a 5 situazioni (DOMANDA PLAUSIBILE ALL’ESAME):
-
Se abrogata, l’abrogazione può essere:
o
Espressa, il legislatore emana una nuova
normativa e questa nuova normativa abroga esplicitamente la normativa su cui
l’istituto incide;
o
Tacita, vi è incompatibilità tra la nuova e la
vecchia normativa. Si applica quella in vigore.
o
Se una nuova norma sostituisce in toto la
precedente;
o
Come conseguenza della dichiarazione di
incostituzionalità della norma (questa dichiarazione ha effetto di abrogare ex
tunc la norma);
o
Referendum abrogativo (ex articolo 75 Cost.). Ci
deve essere un numero di votanti pari al 50% + 1 (quorum costitutivo).
Le norme vanno anche
interpretate: l’interpretazione è il motivo per cui esistono giudici ed
avvocati. Il primo criterio interpretativo è quello letterale: connessione
delle parole e loro significato.
Si passa poi alla RATIO LEGIS,
all’intenzione, allo scopo, nel momento in cui il legislatore ha emanato quella
normativa. La ricerca dell’idea è il risultato di un’interpretazione logica
(art. 12 delle Preleggi).
Va sempre tenuto presente che
queste norme si devono relazionare con altri istituti, con altre norme: bisogna
sempre fare riferimento al quadro complessivo attuale (ciò che in questo
momento è il diritto oggettivo). Questa è l’INTEPRETAZIONE SISTEMATICA.
Questi appena enunciati sono i
criteri di COME si deve interpretare la norma. A seconda della FONTE, invece,
si distinguono:
- Interpretazione
autentica, volte in cui il legislatore emana delle normative in cui spiega
il significato delle norme precedentemente emanate;
- Interpretazione
dottrinale, l’interprete è aiutato da accademici: egli può meglio
comprendere il significato delle norme;
- Interpretazione
giurisprudenziale, data dalle sentenze dei giudici. È vero, non siamo in
un sistema di COMMON LAW: ma finché ci si trova davanti ad una sentenza
della Cassazione, il giudice di primo grado si conformerà (con grande
probabilità) alla sentenza di Cassazione.
Qual è il risultato
dell’interpretazione?
-
Estensiva: amplia il significato della norma;
-
Restrittiva: restringe il significato della
norma;
-
Dichiarativa: la norma è come appare.
L’articolo 12 delle Preleggi dà
una serie di indicazioni su come devono essere interpretate le norme. Nel
secondo comma viene inserito il concetto di “analogia”: la realtà supera la
fantasia, non può essere previsto tutto ciò che il legislatore non può pensare
esista (e invece esiste nella realtà). Nell’ipotesi in cui ci siano delle lacune
nel diritto, esiste l’istituto
dell’analogia. Nell’analogia io applico delle norme ad una fattispecie che
ne è sprovvista: nella analogia v’è un vuoto normativo. Come previsto dal
legislatore, l’analogia può essere LEGIS o JURIS.
v L’analogia
LEGIS presuppone che vi siano casi simili o materie analoghe: accertare
l’esistenza di una lacuna, individuare la norma che regola casi simili ed
infine verificare l’esistenza di una medesima RATIO (di un elemento in comune).
La medesima RATIO diventa fondamentale criterio per capire se una disciplina è
applicabile o meno ad altro istituto giuridico.
v L’analogia
JURIS si applica tutte le volte in cui non è possibile trovare una materia
analogia: si applicano i c.d. principi dell’ordinamento. Il legislatore non ci
lascia un elenco i principi dell’ordinamento, però! Sono molto importanti, ma
allo stesso tempo sfuggevoli. Sono principi dell’ordinamento regole non
scritte, ma derivanti e ricavabili da queste, e che mettono d’accordo gli
interpreti sull’esistenza di un sostrato del nostro ordinamento giuridico.
I PRINCIPI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO SONO COSA BEN DIVERSA DALLE
CLAUSOLE GENERALI!!!
Le clausole generali, infatti,
sono norme scritte: essendo generali, sono di applicazione trasversale (si
applicano ad una serie indefinita di casi). Un esempio piuttosto noto è il
concetto di BUONA FEDE. È una norma di applicazione generale, trovabile (esplicitamente
richiamata) in vari articoli, come ad esempio l’articolo 1337. È una clausola
generale trovabile anche nel 1175. Ha il vantaggio di poter essere sempre
richiamata da una loro specifica previsione legislativa.
SI TENGANO DISTINTI QUESTI DUE DALLE “CONDIZIONI GENERALI DI
CONTRATTO”!!!
Si fa riferimento alla
contrattazione di massa, che il nostro legislatore nel 1942 aveva previsto in
modo ben specifico (artt. 1341-1342). Il legislatore afferma che il contratto è
concluso nel momento in cui la proposta viene accettata dall’oblato e il
proponente conosce l’accettazione (PRINCIPIO DELLA COGNIZIONE). Le condizioni
generali di contratto si rivolgono ad una generalità di consociati e hanno un
prezzo prefissato, per esempio. Le FS, per esempio, stabiliscono un regolamento
contrattuale: colui che si limita ad aderire è tenuto ad aderire alle norme che
sono stabilite nel regolamento. All’acquirente sono opponibili se sono
conosciute o conoscibili per ordinaria diligenza. Nel II comma si fa un
passaggio in più: dove ci sono quelle clausole che comportano uno squilibrio e
che sono vessatorie nei confronti di chi aderisce al contratto, queste sono a
lui opponibili solo se sono state oggetto di specifica sottoscrizione. L’elenco
contenuto nel II comma è tassativo, non suscettibile di estensioni.
Le situazioni giuridiche
soggettive sono divise in attive e passive: si concede ad un soggetto il potere
di fare determinate cose; un soggetto è tenuto a sopportare che un altro
soddisfi un interesse contrastante rispetto alla propria posizione (passivo).
I diritti soggettivi vengono
divisi in ASSOLUTI e RELATIVI: se assoluti ERGA OMNES, oppure se RELATIVI nei
confronti di UN SOLO SOGGETTO (le obbligazioni, per esempio). Qual è il
rapporto tra un obbligazione e un contratto? La confusione nasce dal fatto che
spesso la materia risulta troppo astratta, quando invece è la più legata alla
realtà. I contratti sono fonte di obbligazioni e il contraente varia a seconda
del contratto che si prende in considerazione. Il contraente assume in sé la
qualifica di creditore o debitore. Dal contratto nascono più obbligazioni: un
contraente può essere debitore di una certa obbligazione ma anche creditore!
Dal contratto di compravendita nascono delle obbligazioni: il venditore deve
consegnare la cosa; il compratore dovrà pagare il prezzo. Il compratore è
DEBITORE nell’obbligazione “pagare il prezzo” (prestazione di dare) ma
CREDITORE nell’obbligazione “consegnare la cosa”.
I diritti relativi ricevono
tutela solo nei confronti di un determinato contesto. Lo schema
dell’obbligazione fa capire come nei diritti relativi, per il soddisfacimento
del proprio diritto, si necessiti della collaborazione di una controparte. È
diverso OBBLIGAZIONE da OBBLIGO: il primo è diritto relativo con oggetto
prestazione di tipo patrimoniale, il concetto di obbligo è diritto relativo con
oggetto prestazione di tipo non patrimoniale.
L’onere, invece, è una situazione
giuridica soggettiva che pone un dovere di comportamento in capo ad una parte,
al solo fine di raggiungere un determinato scopo-risultato. La parte non è
OBBLIGATA a tenere quel comportamento, ma lo deve tenere se vuole raggiungere
un dato scopo (scelta libera). Questo ex articolo 1456 CC.
Ci sono anche situazioni minori:
poteri o facoltà. La facoltà è la possibilità per il soggetto di tenere o meno
un dato comportamento. Il comportamento che il soggetto tiene, in assenza della
facoltà, è illecito. La conseguenza è il risarcimento del danno (art. 2043 CC).
Esistono circostanze in cui la legge prevede un indennizzo pur se si è
esercitata una facoltà. La differenza fra risarcimento ed indennizzo è che il
risarcimento si ha tutte le volte in cui l’atto compiuto è illecito;
l’indennizzo è conseguenza di atto lecito ma, che avendo cagionato danno a
controparte, impone per legge il ristoro di una certa somma di denaro. Il
risarcimento non è predeterminato dalla legge; l’indennizzo è stabilito dalla
legge in maniera TASSATIVA, in cui il soggetto, pur avendo compiuto atto
lecito, deve indennizzare chiunque abbia subito depauperamento. Infine, mentre
il risarcimento mira a ripristinare in toto quanto è stato ingiustamente leso
dall’atto illecito, l’indennizzo funziona a spanne, riconoscendo solo una parte
del danno ricevuto.
Correlativamente alla facoltà
abbiamo il potere: questo è la possibilità di porre in essere delle azioni che
mutano la sfera giuridica dei destinatari. In assenza di potere l’atto sarebbe
inefficace. Si riconosce poi uno speciale potere d’agire tutte le volte in cui
la legge concede ad un soggetto la possibilità di agire per soddisfare un
proprio interesse.
Se l’interesse per cui si agisce
si parla di POTESTA’ o di UFFICIO DI DIRITTO PRIVATO. Le potestà sono previste
dal codice in riferimento soprattutto ai minori.
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