Articolo 1337 -- > le parti
nel contratto si devono comportare secondo buona fede. Per buona fede si
intende un concetto che ha due varianti, i quali corrispondono a buona fede in
senso soggettivo e in senso oggettivo. La buona fede in senso oggettivo è la
buona fede che permea di sé l’intera disciplina del contratto in generale
(confronta anche gli artt. 1366, 1375). Prima di addentrarci nel tema delle
trattative, bisogna identificare i concetti di buona fede in senso soggettivo e
oggettivo.
SOGGETTIVO: nozione di buona fede
che si trova all’interno della disciplina dei diritti reali. È una situazione
di IGNORANZA incolpevole: si può dire in buona fede la persona che non è
consapevole del fatto che sta ledendo un diritto altrui. Una persona si
comporta in modo antigiuridico ed è in buona fede se commette un errore
“scusabile”. Ex articolo 1147 troviamo una definizione di buona fede in senso
soggettivo. Il fatto di comportarsi, ignorando, senza colpa grave, di ledere
altrui diritto. Il possesso consiste nel potere di fatto sulla cosa che si
manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di
altro diritto reale: articolo 1140, comma I. Vi può essere anche possesso da
chi non è proprietario: norma di diritto penale che riguarda il furto. Questa
norma fa capire che il reato di furto consiste nel prendere possesso di cosa
altrui e di comportarsi rispetto ad essa come se fosse propria. Il reato di
furto non è ragione giuridica che fa spostare il diritto di proprietà dal
derubato al ladro, ma il ladro risulta comunque possessore della cosa rubata
(egli piuttosto si comporta come se fosse proprietario). Nel nostro sistema di
diritti reali, la situazione di diritto è affiancata dalla situazione di fatto
(che è appunto il possesso). Vi può essere corrispondenza fra le due situazioni
(sono proprietario e possessore di un quid). Vi può essere, allo stesso modo,
una scissione tra le due situazioni.
Il possesso è regolato dalla
legge in quanto tale: il possessore gode di una tutela del suo possesso, contro
i comportamenti altrui, che corrispondono alla violazione di questa situazione
in modo violento o clandestino. Paradossalmente questo vale anche per il ladro.
V’è una azione apposita: REINTEGRAZIONE DEL POSSESSO o SPOGLIO (procedimento
speciale e di urgenza). Il possessore in buona fede non è certamente il ladro,
che invece è possessore in mala fede.
Esempio di buona fede in senso
soggettivo nella materia del contratto (ex articolo 2033). Un pagamento
indebito, non dovuto, deve essere restituito (indebito oggettivo). Il denaro è
un bene fruttifero: esso produce reddito. Producendo reddito, produce quindi
degli interessi. Ferma la restituzione, dunque, v’è il problema degli interessi
(su cifre molto grandi e tempi molto diluiti). È in buona fede chi riceve una
somma non dovuta, ignorando che la somma fosse non dovuta. È in mala fede colui
che riceve in pagamento una somma di denaro, sapendo che la somma non gli è
dovuta. Se chi riceve la somma di denaro è in mala fede, costui dovrà dare in
restituzione anche gli interessi (oltre al denaro versato). Se chi riceve la
somma di denaro è in buona fede, costui dovrà dare in restituzione la somma e
gli interessi SOLO DAL MOMENTO DELLA DOMANDA DI RESTITUZIONE.
Ignoranza o consapevolezza sono
caratteri psichici. L’ultimo comma del 1147 fissa una regola: la buona fede si
presume. Il nostro codice parte da un’idea forse ottimista dell’animo umano. Si
presume, dunque, che l’essere umano si comporti in buona fede. Chi vuol far
valere la mala fede altrui, deve dimostrarlo. Se tale prova non regge, vale la
PRESUNZIONE DI BUONA FEDE. Si parte sempre da questo principio. Non è chi ha
ricevuto il denaro che deve dimostrare la propria buona fede, ma è l’altra
parte a dover fare tutto.
La buona fede può anche essere
intesa in senso oggettivo (e questa è la normalità). La buona fede va intesa in
senso oggettivo nell’articolo 1337. Le parti si devono comportare secondo buona
fede. È una regola di comportamento: è un dovere di comportarsi in modo leale e
corretto. Ma cosa vuol dire CONCRETAMENTE? Tutta questa attività spetta al
giudice: solo il giudice può ritenere in un determinato modo leale e corretto
(o viceversa) lo svolgimento di una trattativa, in base alla fattispecie
concreta.
Vi sono alcune situazioni
tipizzate: la prima va sotto la denominazione di “rottura ingiustificata delle
trattative”. Si tratta dell’ipotesi in cui le trattative siano arrivate ad una
fase avanzata, tanto avanzata che una delle parti confida legittimamente che il
contratto verrà concluso e queste trattative vengono concluse improvvisamente
senza ragione apparente. Le parti sono libere di determinare il contenuto del
contratto: nel principio di autonomia privata v’è la regola per cui è libertà
delle parti se arrivare o no a conclusione del contratto. [Si rischia di
violare il principio di autonomia privata: bisogna stare attenti a non scadere
nella regola della buona fede.] La soluzione elaborata ed accettata dalla
giurisprudenza è quella di ritenere che la rottura delle trattative sia
contraria a buona fede quando:
-
Ci si può attendere che si concluda il
contratto;
-
La conclusione delle trattive è senza
giustificazione legittima.
La seconda delle fattispecie è la
violazione del dovere di informazione durante le trattative. L’esistenza di un
dovere di formazione viene ricavata dall’articolo 1338. Una delle parti sa che
si sta per concludere un contratto invalido: se non lo dice all’altra parte,
incorre in una responsabilità pre-contrattuale. La violazione dei doveri di
informazione comporta una violazione dei doveri di buona fede (art. 1337). Ricorda
a tal proposito la situazione dei Bond Argentini (2001).
La fase delle trattative può
constare di diverse fasi: esempio più classico, la prova di un’auto dal
concessionario. Se rovino l’auto di prova, usando pochissima cautela, anche in
questo caso risulto in mala fede. Una regola di comportamento molto ampia ed
astratta: leali e corretti, doveri specifici di comportamento in specifiche
trattative.
Cosa succede, quali sono le
conseguenze della violazione del dovere di buona fede durante le trattative? Se
le parti si comportano in mala fede, succede quello che succede sempre nel
diritto privato quando viene commesso un fatto antigiuridico: viene generata
una responsabilità civile. Nasce dalla connessione di un fatto anti-civile e ha
come conseguenza costante, in capo all’autore, l’obbligo di risarcire il danno.
La responsabilità civile è una responsabilità sostanzialmente risarcitoria (fa
nascere questo “obbligo”). Da questa si distingue la responsabilità penale,
comminando una punizione tanto grave quanto grave è giudicata la fattispecie
concreta. Nella logica del diritto penale, la pena è commisurata alla gravità
della condotta.
Nel diritto civile la sanzione
del fatto illecito è l’obbligo di risarcire il danno: il patrimonio della
persona danneggiata deve essere ricostituito nella stessa situazione in cui si
sarebbe venuto a trovare se il danno non fosse stato indotto. Qual è il danno?
Dipende dal caso concreto. In linea di massima si deve dire che il danno che
subisce la vittima della violazione del dovere di buona fede durante la
trattativa è composto da:
1)
Costi sostenuti per la trattativa, spese e costi
(anche in termini di tempo);
2)
Occasioni perdute: la trattativa, restando
aderenti all’esempio di un venditore che perde un potenziale acquirente in
buona fede e ne acquista uno in buona fede, porta all’acquisto da parte di un
terzo ad una somma inferiore a quella richiesta. La differenza sarà intesa come
risarcimento.
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