venerdì 13 marzo 2015

3^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Articolo 1337 -- > le parti nel contratto si devono comportare secondo buona fede. Per buona fede si intende un concetto che ha due varianti, i quali corrispondono a buona fede in senso soggettivo e in senso oggettivo. La buona fede in senso oggettivo è la buona fede che permea di sé l’intera disciplina del contratto in generale (confronta anche gli artt. 1366, 1375). Prima di addentrarci nel tema delle trattative, bisogna identificare i concetti di buona fede in senso soggettivo e oggettivo.
SOGGETTIVO: nozione di buona fede che si trova all’interno della disciplina dei diritti reali. È una situazione di IGNORANZA incolpevole: si può dire in buona fede la persona che non è consapevole del fatto che sta ledendo un diritto altrui. Una persona si comporta in modo antigiuridico ed è in buona fede se commette un errore “scusabile”. Ex articolo 1147 troviamo una definizione di buona fede in senso soggettivo. Il fatto di comportarsi, ignorando, senza colpa grave, di ledere altrui diritto. Il possesso consiste nel potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale: articolo 1140, comma I. Vi può essere anche possesso da chi non è proprietario: norma di diritto penale che riguarda il furto. Questa norma fa capire che il reato di furto consiste nel prendere possesso di cosa altrui e di comportarsi rispetto ad essa come se fosse propria. Il reato di furto non è ragione giuridica che fa spostare il diritto di proprietà dal derubato al ladro, ma il ladro risulta comunque possessore della cosa rubata (egli piuttosto si comporta come se fosse proprietario). Nel nostro sistema di diritti reali, la situazione di diritto è affiancata dalla situazione di fatto (che è appunto il possesso). Vi può essere corrispondenza fra le due situazioni (sono proprietario e possessore di un quid). Vi può essere, allo stesso modo, una scissione tra le due situazioni.
Il possesso è regolato dalla legge in quanto tale: il possessore gode di una tutela del suo possesso, contro i comportamenti altrui, che corrispondono alla violazione di questa situazione in modo violento o clandestino. Paradossalmente questo vale anche per il ladro. V’è una azione apposita: REINTEGRAZIONE DEL POSSESSO o SPOGLIO (procedimento speciale e di urgenza). Il possessore in buona fede non è certamente il ladro, che invece è possessore in mala fede.
Esempio di buona fede in senso soggettivo nella materia del contratto (ex articolo 2033). Un pagamento indebito, non dovuto, deve essere restituito (indebito oggettivo). Il denaro è un bene fruttifero: esso produce reddito. Producendo reddito, produce quindi degli interessi. Ferma la restituzione, dunque, v’è il problema degli interessi (su cifre molto grandi e tempi molto diluiti). È in buona fede chi riceve una somma non dovuta, ignorando che la somma fosse non dovuta. È in mala fede colui che riceve in pagamento una somma di denaro, sapendo che la somma non gli è dovuta. Se chi riceve la somma di denaro è in mala fede, costui dovrà dare in restituzione anche gli interessi (oltre al denaro versato). Se chi riceve la somma di denaro è in buona fede, costui dovrà dare in restituzione la somma e gli interessi SOLO DAL MOMENTO DELLA DOMANDA DI RESTITUZIONE.
Ignoranza o consapevolezza sono caratteri psichici. L’ultimo comma del 1147 fissa una regola: la buona fede si presume. Il nostro codice parte da un’idea forse ottimista dell’animo umano. Si presume, dunque, che l’essere umano si comporti in buona fede. Chi vuol far valere la mala fede altrui, deve dimostrarlo. Se tale prova non regge, vale la PRESUNZIONE DI BUONA FEDE. Si parte sempre da questo principio. Non è chi ha ricevuto il denaro che deve dimostrare la propria buona fede, ma è l’altra parte a dover fare tutto.
La buona fede può anche essere intesa in senso oggettivo (e questa è la normalità). La buona fede va intesa in senso oggettivo nell’articolo 1337. Le parti si devono comportare secondo buona fede. È una regola di comportamento: è un dovere di comportarsi in modo leale e corretto. Ma cosa vuol dire CONCRETAMENTE? Tutta questa attività spetta al giudice: solo il giudice può ritenere in un determinato modo leale e corretto (o viceversa) lo svolgimento di una trattativa, in base alla fattispecie concreta.
Vi sono alcune situazioni tipizzate: la prima va sotto la denominazione di “rottura ingiustificata delle trattative”. Si tratta dell’ipotesi in cui le trattative siano arrivate ad una fase avanzata, tanto avanzata che una delle parti confida legittimamente che il contratto verrà concluso e queste trattative vengono concluse improvvisamente senza ragione apparente. Le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto: nel principio di autonomia privata v’è la regola per cui è libertà delle parti se arrivare o no a conclusione del contratto. [Si rischia di violare il principio di autonomia privata: bisogna stare attenti a non scadere nella regola della buona fede.] La soluzione elaborata ed accettata dalla giurisprudenza è quella di ritenere che la rottura delle trattative sia contraria a buona fede quando:
-        Ci si può attendere che si concluda il contratto;
-        La conclusione delle trattive è senza giustificazione legittima.
La seconda delle fattispecie è la violazione del dovere di informazione durante le trattative. L’esistenza di un dovere di formazione viene ricavata dall’articolo 1338. Una delle parti sa che si sta per concludere un contratto invalido: se non lo dice all’altra parte, incorre in una responsabilità pre-contrattuale. La violazione dei doveri di informazione comporta una violazione dei doveri di buona fede (art. 1337). Ricorda a tal proposito la situazione dei Bond Argentini (2001).
La fase delle trattative può constare di diverse fasi: esempio più classico, la prova di un’auto dal concessionario. Se rovino l’auto di prova, usando pochissima cautela, anche in questo caso risulto in mala fede. Una regola di comportamento molto ampia ed astratta: leali e corretti, doveri specifici di comportamento in specifiche trattative.
Cosa succede, quali sono le conseguenze della violazione del dovere di buona fede durante le trattative? Se le parti si comportano in mala fede, succede quello che succede sempre nel diritto privato quando viene commesso un fatto antigiuridico: viene generata una responsabilità civile. Nasce dalla connessione di un fatto anti-civile e ha come conseguenza costante, in capo all’autore, l’obbligo di risarcire il danno. La responsabilità civile è una responsabilità sostanzialmente risarcitoria (fa nascere questo “obbligo”). Da questa si distingue la responsabilità penale, comminando una punizione tanto grave quanto grave è giudicata la fattispecie concreta. Nella logica del diritto penale, la pena è commisurata alla gravità della condotta.
Nel diritto civile la sanzione del fatto illecito è l’obbligo di risarcire il danno: il patrimonio della persona danneggiata deve essere ricostituito nella stessa situazione in cui si sarebbe venuto a trovare se il danno non fosse stato indotto. Qual è il danno? Dipende dal caso concreto. In linea di massima si deve dire che il danno che subisce la vittima della violazione del dovere di buona fede durante la trattativa è composto da:
1)     Costi sostenuti per la trattativa, spese e costi (anche in termini di tempo);

2)     Occasioni perdute: la trattativa, restando aderenti all’esempio di un venditore che perde un potenziale acquirente in buona fede e ne acquista uno in buona fede, porta all’acquisto da parte di un terzo ad una somma inferiore a quella richiesta. La differenza sarà intesa come risarcimento.

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