domenica 5 aprile 2015

13^ LEZIONE DI DIRITTO PRIVATO.

Articolo: 2727. Altra prova è la presunzione. Il fatto su cui si basa la presunzione deve essere provato. Prima c’è l’esigenza di provare il fatto noto, poi il giudice potrà argomentare deduttivamente l’esistenza del fatto presunto (il fatto noto è l’indizio). L’indizio ci consente di desumere la verità del fatto non ancora provato, ma presunto. Le presunzioni sono argomentazioni deduttive: già nella nozione del 2727 si capisce che esistono
-        Argomentazioni che la legge ricava dal fatto noto (presunzione LEGALE);
-        Argomentazioni che il giudice ricava dal fatto noto (presunzione SEMPLICE).
Entrambe seguono un preciso percorso logico. Un esempio di presunzione legale è contenuta nell’articolo 1335. In questo caso è la norma di legge che considera dimostrato il fatto ignoto quando sia provato un fatto noto. Il fatto che la dichiarazione sia pervenuta all’indirizzo del destinatario presume un conoscimento da parte del potenziale accettante. L’ufficiale del servizio postale, una volta consegnata la missiva, fa firmare al destinatario la ricevuta di ritorno che viene consegnata a sua volta al mittente: questa è una prova del fatto che il destinatario abbia ricevuto la missiva stessa. Queste presunzioni legali si ripartiscono in due categorie:
-        Assolute, presunzioni contro le quali non è ammessa prova contraria.
-        Relativo, presunzioni contro le quali è ammessa prova contraria (ad es. art. 1335).
È offerto nel caso del 1335 la possibilità al destinatario di offrire prova contraria rispetto a ciò che è presunto nel 1335 (nella prima parte). L’onere della prova grava su chi solitamente non è gravato da tale onere (inversione dell’onere della prova, inversione rispetto all’articolo 2697).
Le presunzioni legali assolute sono quelle presunzioni contro le quali non è ammessa prova contraria: dato l’indizio, quindi, il fatto si considera senz’altro provato, senza che nessuno possa provare qualcos’altro di diverso (materia di filiazione, art. 232 -- > il matrimonio senz’altro si scioglie, anche se per cause diverse: in questo articolo si dice chiaramente che si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato entro 300 giorni dalla data d’annullamento del matrimonio).
Vi sono poi le presunzioni semplici: queste sono fatte dal giudice. Spesso il giudice si trova a dover giudicare sulla base di presunzioni. Quasi sempre il giudice si deve servire degli indizi: la causa si fa o si subisce quando l’impianto probatorio è indiziario. Rispetto alla presunzione semplice (attività fatta dal giudice) la legge, all’articolo 2729 troviamo che le presunzioni sono lasciate alla prudenza del giudice e, nel II comma, che le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni. Il giudice, inoltre, non deve ammettere presunzioni se non gravi, precise e concordanti. Qui vi è un’inesattezza: sono GLI INDIZI ad avere tali caratteristiche, non le presunzioni. Devono essere:
-        Gravi: l’intuizione deve essere logica e argomentata;
-        Precisi: indizi che siano univoci, devono indicare con chiarezza il fatto ignoto da ricavare per presunzione;
-        Concordanti (molto importante): con questo aggettivo la legge parte dal presupposto che gli indizi siano molteplici. Il giudice normalmente si trova di fronte a tutta una serie di prove (testimonianze, documenti, comunicazioni, lettere, contratti…), per cui per decidere occorre che questi indizi siano concordanti, indirizzando tutti verso lo stesso fatto ignoto. Non ci devono essere indizi discordanti, che portano a risultati opposti: tutti gli indizi esistenti devono indicare la stessa direzione. Solo in questo caso il giudice può decidere in base alla presunzione.
IL GIURAMENTO – IV mezzo di prova
Mezzo di prova assai inconsueto, è di due tipi (o forse tre, il codice parla di due tipi, ma probabilmente, all’interno di uno dei due, sono previsti due tipi di giuramento), art. 2736:
-        Giuramento DECISORIO: è un giuramento in cui la iniziativa è presa da una delle parti (tramite il legale) che deferisce il giuramento all’altra parte, ovvero chiede all’altra parte di giurare sulla verità delle cose che sostiene. Dalla prestazione (o dal rifiuto) di giuramento dipende l’esito della causa. Caio, al quale il giuramento è stato deferito il giuramento, può chiedere di riferire il giuramento a chi glielo ha DEFERITO (Tizio, in questo caso): Tizio si trova nelle condizioni di giurare o di non giurare. In questo caso, dopo il riferimento, il giuramento può essere solo prestato o meno. La forza del giuramento decisorio è tale che se, per ipotesi, Tizio o Caio avessero giurato il falso, costoro commettono un reato, e possono essere condannati PENALMENTE. Quand’anche sia stato accertato il giuramento del falso, la sentenza civile resta ferma: Caio giura il falso, ma il giudizio civile non viene ribaltato (c’è solo una conseguenza penale per Caio e la possibilità per Tizio di richiedere un risarcimento civile). È una prova che supera ogni altra prova.
-        Giuramento SUPPLETORIO: il giudice deferisce ad una delle due parti questo giuramento nel caso in cui la domanda o le eccezioni non siano pienamente provate, ma non del tutto sfornite di prova. Vi è poi una seconda fattispecie (sempre all’interno di questo secondo tipo di giuramento):
o   Il giuramento ESTIMATORIO: è il giuramento deferito al fine di stabilire il valor della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti.
Questo è uno dei pochissimi casi in cui nel processo civile il giudice ha un potere di iniziativa in ordine alle prove. In pochissimi casi (e questo è uno di quelli) il giudice ha il potere di promuovere la prova: sono poteri UFFICIOSI del giudice. È molto difficile che il giudice si fidi delle parti e dei rispettivi legali.
SI CHIUDA ORA LA PARENTESI SULLE PROVE E SI RIAPRA IL CAPITOLO SULLA FORMA DEL CONTRATTO
Torniamo all’articolo 1351. Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. In questo articolo NON si dice quale forma deve assumere il preliminare, ma lega semplicemente il preliminare al definitivo. Nel caso in cui risulti nullo il preliminare, non c’è obbligo di stipulare il definitivo.
Articolo 1352: sono accordi con cui le parti si accordano in che forma il contratto andrà fatto tra di loro. I contratti futuri tra due parti DEVONO essere stipulati in questa forma (due parti si accordano così). Se c’è una regola sulla forma, questa regola sulla forma è in linea di principio è una regola di forma a pena di nullità. Le parti potrebbero stabilite che la regola di forma sia stabilita ad altra pena (ex articolo 2725, in cui si contempla la eventualità che, per volontà delle parti, un contratto possa essere provato per iscritto).
Poniamo ora un problema: c’è il contratto. A questo punto il problema è di interpretazione del contratto.
Le regole giuridiche che riguardano l’interpretazione del contratto hanno come destinatari i giudici davanti ai quali nascono controversie e coloro i quali sono interessati al contratto. Queste regole di interpretazione sono contenute dagli articoli 1361 al 1372. La prima parte riguarda (1361-1365) l’interpretazione soggettiva; la seconda parte (1367-1372) l’interpretazione oggettiva. Il 1366 riporta la clausola di buona fede, a conferma di come questo criterio di comportamento riguardi tutte le fasi del contratto.
Il primo gruppo riguarda l’INTERPRETRAZIONE SOGGETTIVA: cosa le parti hanno effettivamente voluto? È la ricerca della volontà storica dei contraenti. La prima norma è l’articolo 1362: nell’interpretare il contratto si deve indagare la comune intenzione delle parti e non fermarsi al senso letterale delle parole. Questa norma consente di distinguere tra scopo dell’interpretazione e materiale dell’interpretazione. L’interpretazione ha lo scopo di individuare la comune intenzione delle parti: è la ricerca del vero e proprio contenuto contrattuale. La legge dice cosa utilizzare per raggiungere il materiale di interpretazione: innanzitutto non bisogna fermarsi al significato letterale delle parole che i contraenti abbiano usato (spesso frainteso come un “prescindere dalle parole usate dalle parti”). La norma, in realtà, va intesa dando il giusto peso al fatto che si dice che non bisogna FERMARSI al significato letterale delle parole: questo aspetto DEVE essere preso in considerazione. Addirittura il significato letterale delle parole è il primo strumento di interpretazione. Bisognerà, certo, tenere conto anche e soprattutto del comportamento delle parti: non solo precedente, ma anche contemporaneo e successivo (per capire quale sia stata la loro comune intenzione). Le altre regole sull’interpretazione soggettiva sono specificazioni superflue: sono state inserite nel codice per evitare comportamenti maliziosi. Il contratto, infatti, va interpretato SISTEMATICAMENTE (senza decontestualizzare le varie frasi) -- > art. 1363.
L’articolo 1364, invece, afferma che le espressioni generali non sono usate in maniera assoluta, ma solo relativamente agli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare.
V’è poi l’articolo 1365 che afferma che nel caso in cui nel contratto si sia espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono conclusi i casi non espressi, ai quali può estendersi il patto stesso.
PUO’ accadere che non si riesca a capire la comune intenzione: vendita del primo piano di una casa, ad esempio. Non si capiva se le parti si riferissero al piano terra o al piano primo: indizi conducevano alla prima ipotesi, altri indizi alla seconda ipotesi. In casi di questo genere si ricorre a INTERPRETAZIONE OGGETTIVA.
Art. 1367: conservazione del contratto. Si interpreta nel senso in cui il contratto abbia qualche effetto, piuttosto che nessuno. Art. 1370: interpretazione contro l’autore della clausola (nei contratti a condizioni generali). Le altre regole sono l’articolo 1368 e il 1369. Il 1368 vuole che il contratto venga interpretato secondo gli usi del luogo in cui è concluso o del luogo in cui ha sede l’impresa.
Il 1369 esprime invece la necessità di coerenza dell’interpretazione.

Molto importante il 1371: sono le regole finali, quelle a cui si ricorre se non se ne viene fuori. Questo distingue i contratti gratuiti dai contratti a titolo oneroso. Nel caso di contratti gratuiti c’è un unico soggetto obbligato: il 1371 afferma che, nel dubbio finale, il contratto gratuito deve essere inteso nel senso meno oneroso per l’obbligato. Questo è una regola espressione del principio del FAVOR DEBITORIS (istituzioni di diritto romano). Nel caso di contratto oneroso, il dubbio deve essere sciolto nel senso che il contratto realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti. Non si deve, in sostanza, favorire eccessivamente nessuna delle due parti: bisogna ottenere un equo contemperamento degli interessi di entrambi. È uno dei pochi casi in cui viene sancito un principio di equilibrio contrattuale. Qui vi è un elemento che attenua il rigore del principio di libertà contrattuale: ci dice che un obiettivo del legislatore è quello che il contratto realizzi l’equo contemperamento degli interessi. Non devono essere, in sostanza, contratti ingiusti. Vi è, quindi, istanza di giustizia sostanziale.  

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