MITO PLATONICO DELLA NASCITA DI EROS –
Simposio
Si tratta
del racconto con il quale Platone intende spiegare cosa sia la filosofia (con
parole di Socrate). Il mito è nella parte finale del Simposio (dialogo sul tema
dell’amore in cui i convitati tirano fuori questo argomento e discutono delle
varie tesi che si ponevano su questo argomento). L’argomento finale viene
assegnato a Socrate: si svolge in modo dialogico e presso il banchetto. Uno dei
discorsi precedenti sull’amore è quello di Aristofane: “L’amore si può
rappresentare con il grande mito degli esseri umani in delle sfere, tagliate
poi a metà da Zeus. Le mezze sfere tentano di riunirsi in una grande sfera”.
Socrate, con astuzia dialettica, nel dialogo afferma di raccontare ciò che ha
sentito dalla sacerdotessa Diotima di Mantinea: questa ha rivelato cosa sia
l’amore. È un’esposizione del dialogo nel dialogo.
Diversamente
da quello che ha detto Aristofane, Socrate racconta un mito nella forma del
dialogo. La nascita di Eros è la nascita di un semidio che in realtà si
riferisce ad una divinità molto nota, con caratteristiche specifiche. La
situazione narrativa del mito è quella del banchetto organizzato dagli dei per
la nascita di Afrodite. In questo caso si svolge il racconto che Socrate fa. Il
dialogo è stato diviso in 4 parti:
L’idea che
Eros sia un intermedio, è una divinità da tutti conosciuta, ma a metà tra bello
e buono, brutto e cattivo. La cosa più facile, dice Socrate, è fare domande.
Socrate spiega ai suoi astanti l’amore in questo modo (anche la sacerdotessa
gliene faceva). Gli fu chiesto che cosa credesse fosse Eros, e lui rispose che
Eros è Dio delle cose belle. Lei confutò che era sia bello che brutto. Socrate
chiede se per lei fosse brutto, e lei risponde che è un intermedio. Questo
implica che la riflessione su questo grande Dio debba essere corretta dicendo che
Eros non è bello e buono, né brutto né cattivo. Tutto ammettono che è un grande
Dio, dice Socrate. E lei dice che non è possibile dire ciò, in quanto non è un
Dio, ma solo semi-Dio. Socrate allora dice che tutti gli dei sono belli: è un
qualcosa di intermedio, un mortale immortale. È in sostanza un DAIMON, tutto
ciò che così è, è appunto un intermedio tra il divino e il mortale (difesa già
usata nella Apologia di Socrate). È quindi un PONTE tra uomini e dei. È un
TRAMITE, così come nell’antico mondo romano lo era il PONTIFEX. Opera un
completamento, in modo che tutto sia collegato con se stesso. Questo
collegamento è operato attraverso il LOGOS. Platone, quindi, si sta riferendo
alla dialettica. Eros rappresenta quello che nella tradizione è l’amore
platonico, amore simile all’amore magico (in questo modo gli dei hanno un
collegamento con gli uomini). Il demone riesce a creare una mediazione tra ciò
che è umano e ciò che è divino. È pacifico interpretare la figura di Eros da
parte di Platone con la figura di Socrate (Platone sta procedendo ad una
rivalutazione della figura di Socrate). Socrate è un intermedio tra dei e
uomini. Socrate è un uomo DEMONICO (da DAIMON). Questo mito racconta della
nascita di Eros: gli dei tenevano banchetto. Poros, ubriaco, fu colto dal
sonno. Penia, la povertà, giacque con Poros e dalla loro unione nasce Eros.
Nasce proprio durante le feste per la nascita di Afrodite AMANTE DI BELLEZZA.
Ecco la natura semidivina di Eros. È un intermedio tra chi è cacciatore di
ricchezza e tra chi è indigente: è povero sempre, duro e ispido e dorme
all’aperto. Ciò che riceve dal padre: coraggioso, audace, straordinario
cacciatore, appassionato di saggezza (FILOSOFOS). Tutte queste caratteristiche
ben si attagliano a Socrate: trasforma spesso se stesso, sicché Eros non è né
ricco né povero, è a metà via. Eros sta in mezzo tra sapienza ed ignoranza. Il
filosofo è un sapiente, è un amico della sapienza, ma non è nemmeno ignorante.
Chi presume di non essere ignorante in assoluto non ha tale sapienza (dotta
ignoranza). Nessuno degli dei filosofa, perché già sapiente. Nessuno degli
ignoranti, al pari, filosofa, perché pensa di essere già sapiente. Il sapere,
per non cadere in contraddizione, è il sapere di non sapere. Ma chi sono coloro
che filosofano? Sono coloro che stanno in mezzo tra gli ignoranti e i sapienti,
i desiderosi di sapienza. Costui è anche Eros, amore per il bello. Perciò è
necessario che Eros sia filosofo, intermedio. Eros non è l’amato, è l’amante.
Per questo Eros è colui che ama, non è l’oggetto: il filosofo ha quelle
caratteristiche pienamente impersonate da Socrate. Ciò che emerge dal raccontare
il filosofo non è teoria astratta, ma deriva da un dialogo nel dialogo. Il
filosofo e, quindi, la filosofia si riferiscono ad un concetto che non è solo
un modo di vedere, ma anche di ESSERE. Non v’è, quindi, differenza tra
esperienza e conoscenza. Questo è il VERO filosofo. Bisogna concentrarsi sul
SOGGETTO e non sull’oggetto. Questa è la conferma dello schema sul mito:
racconto fondativo, racconto inventivo (storia di Eros), disordinato (esistono
varie storie su Eros), simbolico (Eros è Socrate) e dialogico. Questa è una
prima ed evidente connessione col mondo del mito e gli elementi costitutivi del
mondo della filosofia. Attraverso il mito, infatti, si possono apprendere
elementi di conoscenza sulla ricerca filosofica.
LA
CALUNNIA – Botticelli
È una
rappresentazione del processo ingiusto. È un quadro che Botticelli dipinge alla
fine del ‘400 (1494-1495). Costituisce il rifacimento di un quadro che dipinse
Apelle di Cos (pittore di età classica, vissuto presso la Corte di Tolomeo), il
quale riprende quello che fu perduto (l’originale è assente). Questo quadro
viene descritto in alcune opere letterarie, quali quelle del II secolo d.C.,
come “Come difendersi dalla calunnia”, di Luciano di Samosata. Il quadro è una
rappresentazione allegorica di un processo che subì Apelle stesso. Botticelli,
si dice, abbia dipinto questo quadro per difendere Savonarola: altri affermano
che lui stesso fu vittima di calunnia. La II fonte letteraria è l’opera di Leon
Battista Alberti (“De Pictura”), in cui si dice che i pittori devono imitare le
opere dei classici. Le fonti letterarie di questa opera pittorica è il
trattatello di Luciano e l’opera di Alberti, quindi. “La calunnia”, quindi,
riprende una tecnica che rappresenta la vera origine letteraria della calunnia
di Apelle di Cos (genere Ecfrastico). Il genere della EKFRASIS è un’opera in
cui l’autore genera immagini attraverso il suo racconto: rende visibile a
parole ciò che vuole rappresentare. L’evocazione di immagini attraverso parole
è tipica di Iliade ed Odissea, per esempio. Ma è una tecnica fondamentale anche
per il pittore rinascimentale. Modello di EKFRASIS per i pittori è proprio la
calunnia di Apelle. In questo caso è un’immagine che evoca il racconto. È una
interpretazione che ricrea un dipinto che si era perduto. Questo quadro è la
rappresentazione di un mito e di un processo ingiusto.
ICONOGRAFIA
La
descrizione parte dall’analisi dei personaggi: è una rappresentazione
allegorica. Il quadro è divisibile in tre parti. La descrizione parte da destra
e finisce a sinistra. Il protagonista di questo processo è Re Mida, il giudice.
Ha le orecchie da asino e ha due fanciulle che rappresentano il SOSPETTO e
l’IGNORANZA. Le orecchie d’asino sono un retaggio della punizione di Apollo per
aver dato la vittoria a Marsia nell’agone al flauto.
Vi è poi
una sezione centrale: ci sono varie figure che si muovono e al centro vi è la
calunnia (donna con veste azzurra, che trascina un soggetto per terra
(imputato)). Vi è poi una figura incappucciata: rabbia, livore, l’accusa, che
si rivolge al giudice. La calunnia regge una fiaccola accesa che sarebbe il simbolo
di ciò che illumina: in realtà è lontana dall’accusatore e quindi non lo
illumina. Ci sono altre due figure allegoriche: Invidia e Frode (quelle che
acconciano i capelli della Calunnia). I capelli sono acconciati con rose e
nastro bianco.
La terza parte
reca una donna scura (penitenza e pentimento) che guarda la VERITA’ (figura
nuda ed immobile). Costituisce una presenza ingombrante, necessaria ma al
contempo trascurata. È una rappresentazione dinamica ma anche statica.
Il tema
del quadro è la calunnia: in basso, in piccolo, è scritto di diffidare dalla
calunnia (accusa falsa di aver commesso un delitto). L’elegante loggiato ha due
pilastri con tre arcate e il paesaggio è sereno e piatto, che contrasta con le
figure in primo piano. Nelle nicchie vi sono figure mitologiche e bibliche. Se
ben si guarda, i personaggi reali del processo sono:
-
Re Mida;
-
Accusatore;
-
Incappucciato.
PROCESSUS
EST ACTUS TRIUM PERSONARUM (giudice, attore e convenuto). La scena principale,
ripeto, rappresenta un INGIUSTO processo. Chiaramente nel processo vi è un
problema: il tema della verità nel processo. E’ la verità l’unica figura ferma,
rispetto alla concitazione della scena. La verità è FUORI dal processo quando
questo è ingiusto.
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