venerdì 15 maggio 2015

23^ LEZIONE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO.

La ragione pura non può spiegare il concetto di libertà (I. Kant). L’uomo deve fare i conti con questa realtà: si trova immerso nell’esperienza finita, ma ha a che fare con qualcosa che trascende. L’uomo non può sapere fino in fondo cosa sia la libertà: un nuovo ordinamento giuridico che volesse ipotizzare di tutelare questa libertà come prassi, diventerebbe difficile da descrivere. Tutti noi sappiamo cogliere momenti dell’esperienza in cui ci sentiamo veramente liberi. Di fronte ad una realtà come la libertà che fa quasi parte della natura sostanziale dell’uomo, resta il problema che l’uomo potrebbe disorientarsi. Chi rifiuta se stesso, rifiuta la propria libertà. L’immagine che si può trarre da questo smarrimento dell’uomo, potrebbe destare meraviglia: l’uomo, di fronte a questo abisso insondabile, non può che tentare di trovare lo stesso il fondamento. Questo tentativo di spiegazione deve passare attraverso l’esperimento della libertà. Ma come? Attraverso la PRAXIS: si realizza il fine quando l’atto si compie. L’ordinamento che tuteli questa forma di libertà deve tutelare la libertà negativa: non è una libertà DAL limite, ma è una libertà PER il fine, teleologica.
Quali sono le azioni qualificate come “libere”? La prima manifestazione di questo agire è:
-        Lo smarrimento (il soffrire): la prima apparizione della libertà nella sfera umana è un autentico SOFFRIRE. La libertà potrebbe annientare l’uomo: questo succede quando l’uomo debole si fa trascinare. Il mito di Er raccontato da Platone: guerriero valoroso che giace sul campo di battaglia in stato di morte apparente. Messo sulla pira, Er varca le soglie dell’Ade e vede cosa succede alle anime dei morti: dopo essersi svegliato, raccontò cosa gli era successo. Dopo aver visto questo e dopo aver visto il selettivo percorso delle anime riguardo le scelte operate in vita, Er racconta tutto e permette a tutti di non dimenticare mai questa esperienza.
-        Il subire: l’uomo SUBISCE la libertà, è un attivo subire. L’uomo deve esercitare la propria libertà: DEVI DUNQUE PUOI. L’uomo non è padrone della propria vita, ma ne è il custode: c’è qualcosa che gli sfugge e che non può dominare. Il tentativo di cancellare la libertà è un atto di libertà. La libertà si manifesta anche come un offrire: l’azione della libertà si offre e si esibisce. Quando l’uomo scopre che la libertà è un soffrire, egli scopre che è anche un
-        Offrire: l’uomo si espone alle possibilità di compiere un atto etico. La libertà non è una realtà quotidiana.
-        Gioire: forza insopprimibile.
Tutto ciò implica una riflessione filosofica molto forte. La libertà non deve essere misurabile, è incommensurabile. Costituisce uno dei valori fondamentali: atti liberi, incondizionati, indipendenti dall’altro. La libertà guida l’uomo.
Questo modo di pensare liberamente traduce la parola PRAXIS. Questo è un modello tragico: l’uomo è costretto a scegliere. L’uomo non può evitare la libertà, non può evitare la scelta. L’uomo si illude di tutelare la libertà solo impedendo l’inibizione del movimento fisico.
La libertà come azione si caratterizza come un AGERE. L’unico modo per cercare di comprendere se stesso è indagando come nell’esperienza questa manifestazione si mostra. L’uomo che comprende la propria libertà, la comprende come PATI (passione). Qual è la concezione antropologica del soggetto nell’epoca contemporanea? Il soggetto umano deve essere in qualche modo catalogato: in ogni caso investigando la cultura e la filosofia contemporanee, è possibile trovare tre concezioni dell’uomo (concezioni che provengono in parte dalla cultura scientifica, in parte dai suoi esiti). Il contemporaneo è sempre piuttosto difficile da raccontare:
Prima idea: HOMO CALCULANS (uomo computante), l’uomo dotato di ragione capace di misurare costituisce la caratteristica fondamentale della concezione antropologica moderna. Nel XVII secolo gli scienziati pensando di trovare una lingua universale (CLAVIS UNIVERSALIS), che è stata trovata nella matematica. Da questa idea si sviluppa un problema computazionale: la ragione è capace di conoscere un bene e di rappresentarlo. L’informatica è la rappresentazione di questa idea: le macchine computanti (i computer) non nascono recentemente. La cultura che ne deriva è la costruzione delle macchine computanti, calcolanti. L’uomo è visto in una dimensione unilaterale (distorta). Posso pensare all’uomo CALCULANS in quanto producente determinati risultati.
Vi è una seconda idea: l’uomo trova la sua più ampia manifestazione grazie al dominio sulle cose, sul mondo, sugli oggetti. Questa seconda concezione riguarda un HOMO FABER FORTUNAE SUAE: domina l’oggetto materiale fino a dominare tutto. Questa concezione è moderna perché si è sviluppata grandemente in epoca moderna. Vi sono molte teorie giuridiche e politiche per cui si ritiene che l’uomo sia libero solo se può manifestare la sua volontà. Questa idea è strettamente correlata a quella dell’uomo calculans: il sapere è potenza, infatti. In un trattato perduto Aristotele dice che Anassagora aveva detto che l’uomo è intelligente in quanto dotato delle mani, diversamente dagli altri animali (l’uomo può dominare la realtà circostante e se stesso). Nella presunta idea di manipolazione, si afferma che l’uomo ha la libertà di scegliere (idee PRO CHOICE).
Vi è una terza dimensione: l’uomo è anche SENTIMENTO. È oggi diffusissima quella idea che peraltro nella letteratura è stata battezza come la teoria dell’HOMO SENTIMENTALIS. Ciò che conta veramente è l’emozione. È quell’uomo che vuole mostrare la propria psicologia per dimostrare che ha emozioni intense. Anche l’homo sentimentalis costituisce una manifestazione tipica dell’uomo contemporaneo.
Di solito chi aderisce ad una di queste concezioni esclude naturalmente le altre. Questo significa ridurre l’uomo: il principio, invece, è quello della sintesi: l’idea di libertà deve essere ben più ampia.

La scelta è sempre responsabile, nonostante tutti noi dobbiamo sempre farne.

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