NEGOZIO GIURIDICO: è la figura
che racchiude dentro di sé tutte le espressioni dell’autonomia privata
(contratti, testamenti, matrimonio…). Vi rientrano anche atti come accordi,
atti unilaterali, atti che producono effetti giuridici patrimoniali e non…ma
tutti con la caratteristica di partire da manifestazioni di volontà di privati
in cui l’effetto giuridico è quello voluto dalle parti. Sul piano della
struttura bisogna distinguere l’accordo tra due parti o fra più parti (accordi
– contratti bilaterali o accordi plurilaterali, come articolo 2247, il
contratto di società). Si possono comunque immaginare rapporti che incidono
sull’ambito patrimoniale (contratti), non patrimoniale (matrimonio), atti
unilaterali non patrimoniale (riconoscimento di un figlio), atti unilaterali
patrimoniali (remissione del debito da parte del creditore a beneficio del
debitore). Ma gli esempi qui riportati sono MOLTO limitati.
Tutti questi atti che
costituiscono espressione dell’autonomia negoziale vengono riuniti all’interno
della categoria del negozio giuridico (macro-categoria che comprende dentro di
sé diverse espressioni dell’autonomia negoziale). Ragionare in termini di
negozio giuridico consente l’applicazione di norme tipiche di alcuni negozi
giuridici, anche ad altri tipi di negozi (seguendo l’ANALOGIA).
Cos’è l’analogia: articolo
12 delle Preleggi. Il secondo comma: prima parte = analogia legis. Seconda
parte = analogia iuris. Nel processo civile il giudice si trova davanti ad una
controversia fra privati in cui un soggetto (attore) prende l’iniziativa e
chiede al giudice una sentenza verso un secondo soggetto (convenuto). Per
risolvere una lite tra due privati, il giudice deve applicare la legge generale
e astratta al caso concreto (SUSSUNZIONE). Naturalmente darà ragione o torto
all’attore e ragione o torto al convenuto.
La sussunzione, quindi, è
l’inserimento di una fattispecie concreta ad una astratta. Non tutti i casi
concreti, comunque, sono regolati da specifica legge. Il giudice può trovarsi
davanti ad una lacuna: il giudice può non avere alcuna specificazione astratta.
Allora egli ricorre all’analogia (NON E’ INTERPRETAZIONE): egli applica
analogicamente una legge, ricercando disposizioni che regolino casi simili o
materie analoghe (fai riferimento all’articolo 12 delle disposizioni sulla
legge in generale). Il giudice, inoltre, deve fare questo perché non può negare
giustizia ad un cittadino che la richieda. Egli deve ragionare così: “cosa
avrebbe stabilito il legislatore se avesse preso in considerazione il caso
concreto che mi è stato presentato?” Dove il caso presenta un caso di affinità
di disposizione, allora si applica la legge più simile.
L’esistenza della categoria
generale, in sostanza, dimostra l’esistenza di una EADEM RATIO. Ha senso,
quindi, che se in materia di matrimonio vi è una lite, è possibile che il giudice
possa andare in cerca fra le norme dettate per il contratto per vedere se c’è
la possibilità di applicare regole del contratto al matrimonio. L’esistenza di
questa stessa logica giustifica l’applicazione analogica di norme che esistono
per altre fattispecie. Fai riferimento, a tal proposito, l’articolo 1324 CC.
Ma cos’è l’ANALOGIA JURIS? Se il
caso rimanga ancora dubbio si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato. Il giudice, quindi, in ogni caso non
può pronunciarsi con un NON LIQUET (non mi pronuncio). Questi principi sono i
cardini dell’ordinamento (non sono enunciati in nessuna disposizione) ma che
stanno alla base dell’ordinamento stesso (ad esempio, il principio di economia
dei mezzi giuridici -- > si deve cercare di conservare gli atti, si
incontra, per esempio, nella norma all’articolo 1367). Vi è un principio
superiore (di economicità) che deve garantire che il contratto sia mantenuto
nel tempo per evitare di “sprecare” il tempo e le risorse andate perdute.
LA COSTITUZIONE IN MORA
Nel caso in cui il creditore
solleciti l’adempimento dell’obbligo (per esempio, il pagamento di un
determinato servizio), il creditore METTE IN MORA il debitore (dichiarazione di
volontà, NON negozio giuridico).
DICHIARAZIONI DI VOLONTA’
Negozi giuridici.
Non negozi (atti giuridici in
senso stretto).
La differenza fondamentale è che
la dichiarazione di volontà come la messa in mora mira a dare attuazione al
contratto. Col negozio si crea un regolamento di interesse; con l’atto in senso
stretto si dà regolamento ad un negozio che già esiste.
Non tutti i comportamenti umani
giuridicamente rilevanti sono atti giuridici (vi sono anche i fatti giuridici,
come un’auto che tampona un’altra ferma al semaforo). Questi sono fatti umani
in senso stretto.
Vi sono anche dei fatti che pur
non essendo umani sono giuridicamente rilevanti: il corso del tempo (la legge
vi riconduce particolari effetti giuridici). Fai riferimento, a tal proposito,
all’articolo 2934.
Il contratto quindi è un accordo
(la definizione è contenuta nell’articolo 1321) e ce lo ribadisce l’articolo
1325 che elenca gli elementi essenziali del contratto:
- L’accordo;
- La
causa;
- L’oggetto;
- La
forma quando richiesta dalla legge, a pena di invalidità.
ACCORDO
Senza accordo non v’è contratto.
Cos’è l’accordo? Tutti noi sappiamo cosa voglia dire essere d’accordo: il
problema giuridico è quello di stabilire se c’è l’accordo (quello è il momento
in cui c’è il contratto) oppure stabilire se l’accordo non c’è. Il concetto di
accordo è un concetto giuridico, che ha alla base una nozione corrente
dell’accordo: l’accordo contrattuale è un concetto formale (l’accordo
contrattuale esiste se le parti contraenti hanno tenuto i comportamenti
previsti dalla legge per concludere il contratto, ovvero se sono stati posti in
essere atti e comportamenti ad uno dei procedimenti adatto a portare a termine
un contratto). Fai riferimento agli artt. 1326, 1327, 1333, 1341. Perché vi sia
il contratto, vanno rispettate le regole di conclusione del contratto: solo a quel
punto si può parlare di contratto concluso. Tutti questi procedimenti hanno la
caratteristica di cominciare con una manifestazione di volontà con la quale uno
tra i contraenti prende l’iniziativa di rivolgersi ad un altro contraente
chiedendogli se intende concludere un certo contratto: PROPOSTA CONTRATTUALE.
Questa è la dichiarazione con la
quale un possibile contraente si rivolge ad un altro possibile contraente
chiedendogli se intende concludere un determinato contratto. Questo è l’inizio
di uno tra i procedimenti di conclusione del contratto.
Prima di arrivare alla proposta,
v’è una fase in cui i possibili contraenti discutono dei termini di un
possibile contratto. Questa fase è detta precontrattuale o della TRATTATIVA.
Queste trattative si dicono PRE-CONTRATTUALI e la legge, ex articolo 1337,
afferma: le parti devono comportarsi secondo buona fede. La legge sceglie un
modo di esprimersi piuttosto particolare: la legge non dice cosa una parte deve
fare o meno, cosa una parte può fare o meno (non v’è regolamentazione
puntuale), ma v’è una regola generale, formulata in termini di CLAUSOLA
GENERALE. Viene, infatti, enunciata clausola che deve essere precisata rispetto
alla singola concreta trattativa. Ma cosa vuole dire “buona fede”? Essa è solo UNA
delle clausole generali.
LA BUONA FEDE
Viene intesa solitamente in due
sensi: oggettivo e soggettivo. Nella materia delle obbligazioni e dei contratti
(salvo alcuni casi) si fa riferimento alla buona fede in senso oggettivo.
Quando si tratta della proprietà e dei diritti reali, la buona fede viene
intesa in senso soggettivo.
Oggettivo: canone di
comportamento, comportamento secondo buona fede, leale e corretto, in sostanza.
Tizio è in buona fede se durante le trattative si comporta in modo leale e
corretto: esprime una regola di comportamento.
Soggettivo: si dice in buona fede
la persona che non sa, che ignora di ledere un diritto altrui. “Ho preso in
buona fede quella cosa, credevo fosse mia, ma non lo era”. In sostanza: non
sapevo di aver preso una cosa non mia.
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