Parola chiave per filosofia del
diritto: CRISI. È molto importante per capire anche i fenomeni della cultura,
del sapere e anche i problemi del diritto. Il tempo della crisi indica un
concetto essenziale: ha un significato etimologico che indica l’idea della
FRANTUMAZIONE, del conflitto, che allude all’esistenza di un problema.
Tutt’oggi il sapere è frantumato: questa idea esalta la situazione, il momento
contingente, attuale, che non ci sarà più. Questa idea caratterizza il sapere
ed è stata accentuata dalla INFORMATIZZAZIONE.
L’informatizzazione è
INFORMAZIONE + AUTOMATICA: le macchine hanno cominciato a rielaborare le
informazioni in maniera automatica. Questa frantumazione interessa molti
aspetti, anche quelli economici: questa idea di crisi, però, che aleggia nella
nostra società, non è solo economica. Questa crisi porta smarrimento,
disorientamento. Questa idea di smarrimento riguarda l’uomo contemporaneo: esso
è in crisi, vive in una situazione di frammentazione, in cui non emerge un
valore unico, in cui si valorizza un dato contingente. L’uomo viene portato davanti
ad un’alternativa: vedendo davanti a sé il NULLA, che è l’opposto del nulla,
dell’ESSERE, l’uomo sceglie di “stare dentro” o “stare fuori”.
Questa è un’epoca di relativismo:
bisogna valorizzare la situazione, il contingente. Shakespeare, nell’Amleto,
viene tormentato da questo disorientamento, e questa è la situazione in cui
versa l’uomo contemporaneo. Crisi -- > smarrimento -- > disorientamento =
diverse facce di una stessa medaglia. Anche durante il periodo Barocco questo
sentimento prevaleva: il termine, infatti, indica una perla non regolare.
Questo smarrimento è dato anche dal fatto che non distinguiamo più le forme.
Lo smarrimento provoca la crisi
in tutti i campi, anche in quello giuridico. Il diritto, come oggi si vede, è
colpito dalla crisi analoga a quella che colpisce la sfera del sapere. Oggi il
diritto è contingenza, è la decisione del giudice che risolve il caso
specifico. Il fatto che non vi sia un punto fisso fa già intendere come la
scienza giuridica non sia una scienza unitaria. La velocizzazione e il
controllo delle informazioni ha portato una radicale deresponsabilizzazione dei
soggetti giuridici, in quanto una macchina può sostituire chicchessia. Il tutto
ha portato alla esteriorizzazione del sapere rispetto al sapiente, del diritto
rispetto al giurista: il diritto, oggi, è visto come una sorta di oggetto che
prescinde dal lavoro e dall’attività del giurista. Ma chi è il giurista?
Chiunque si occupi di diritto, anche il legislatore.
La crisi del diritto è piuttosto
evidente al giorno d’oggi. L’epoca attuale, quindi, è di crisi: ma c’è del
positivo. Sebbene l’epoca post-moderna abbia ridotto il singolo e il giurista
ad un mero registratore di dati, noi siamo chiamati, all’opposto, a meditare, a
riflettere su molti di questi punti che invece noi siamo chiamati (ultimamente)
a registrare. Il nichilismo, il relativismo sono parte di un’ideologia
dominante: l’idea della crisi è idea giuridica (dalla parola CRISI arriva la
parola CRITICO -- > e la filosofia si basa proprio sulla parola CRITICA). Crisi
deriva da una parola greca (crisis) che significa “ciò che si frantuma”, ciò
che va buttato via. La necessità di riflettere sul significato della parola
CRISI è perciò fondamentale: è una “forza che tiene insieme”. La crisi richiama
proprio il suo originario significato giuridico: lite giudiziaria. È un quid
che crea un problema, opposizione…ma anche sentenza di un giudice (crinein =
giudicare).
Il giurista deve prendere atto
che il sapere per sua natura è sempre in crisi: l’esperienza del diritto è un
principio che presuppone la crisi. Piuttosto noi dovremmo parlare di DIRITTO IN
PERENNE CRISI, inteso come valutazione positiva. Il giurista percepisce che c’è
un problema e capisce che questo problema va risolto. Il giudizio è quasi
sinonimo di crisi (sotto un punto di vista giuridico): la pronuncia di un
giudice arriva dopo un momento critico. La filosofia del diritto, infatti, ha
il compito di svegliare qualcuno da un momento di narcosi.
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