martedì 28 aprile 2015

15^ LEZIONE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO.

HANS KELSEN – Religione Secolare
È un libro che Kelsen non ha pubblicato in vita e che è stato pubblicato postumo. È stato scritto a partire dagli anni 50 solo dopo averlo lungamente rielaborato, Kelsen lo ritirò dalle stampe nel 1964. A distanza di 50 anni dal ritiro dell’opera l’istituito di Vienna a lui dedicato ha deciso di pubblicare tale libro. Il libro è uscito per la prima volta nel 2012. Già nel 1939 Kelsen viveva negli Stati Uniti, dopo essersi rifugiato a Ginevra. Dagli anni 40 fino al 1971 visse in America. Quando un giovane studioso (nel 1965) domandò a Kelsen che fine avesse fatto questo libro, Kelsen rispose che era stato scritto da un OLD MAN e che non era degno di lui. Il vigore e il rigore delle argomentazioni sembrano smentire le parole appena riportate dall’autore: rimangono ancora parole ignote. L’argomento di questo libro è ben delineato dal sottotitolo: “una polemica contro la interpretazione errata della filosofia sociale e della scienza e della politica moderna come nuove religioni.” In un clima di rinascente religiosità, dal punto di vista metodologico Kelsen analizza gli autori contro cui polemizza, riferendosi ad un grande classico del pensiero: questo è lo schema che si riproduce in tutto il libro. Ma quali sono i classici interpretati erroneamente? Agostino, Comte, Nietzsche, Marx, Proudhon…
Questa è la struttura che rimane costante negli anni: non è un’opera di filosofia del diritto. È un’opera NON eccentrica rispetto alla filosofia del diritto di Kelsen né tanto meno rispetto alla teoria pura del diritto di Kelsen. Con questa opera Kelsen difende l’articolata indagine scientifica dei fenomeni sociali (etica, concepita come scienza sociale normativa; scienze causali, scienze che indagano i fenomeni sociali secondo il principio di causalità). Kelsen adotta questa classificazione delle scienze. Uno dei punti qualificanti consiste nella denuncia dei rischi legati alla individuazione di parallelismi all’interno di varie discipline.
  1. Kelsen si rivolge contro quel tentativo di diversi autori di varie interpretazioni di fenomeni sociali (come l’interpretazione del PROGRESSO nell’Illuminismo). Il primo manoscritto che Kelsen produce è la recensione del libro di Voegelin ma si rifiutò di pubblicarla: il clima politico statunitense infatti non era favorevole a chi avesse idee filo-comuniste. Questa lettera del 1955, rintracciata grazie alla fondazione Hans Kelsen, documenta la genesi di quest’opera nel desiderio di confutare questa tendenza degli studi del suo tempo. È interessante che in questa prima stesura la lettera si chiami “difesa della modernità”. Questo scritto è tuttora conservato, nonostante le sue tracce siano state perse per qualche tempo. In altri tempi, successivi al 1955, compare un altro titolo: “religion without God?”. Nel 1964, invece, viene pubblicato con il titolo definitivo: “Secular religion”. A partire da queste bozze è stato redatto il libro pubblicato nel 2012. Quando si pubblica un’opera postuma lo scrupolo è quello dell’opportunità della pubblicazione. Ecco che allora v’è una testimonianza del biologo di Kelsen, il quale dice che K. avrebbe ritirato questo scritto perché non più convinto di una certa concezione della religione.
  2. Kelsen non rifiutò mai in maniera rigida la religione, ma si interrogò sempre sul significato e sulla funzione di essa. C’è un’ulteriore lettera, del 1963, che è uno vero e proprio scambio epistolare con un suo collega dell’università della California, in cui Kelsen dice sorridendo che un giorno questo libro l’avrebbe potuto pubblicare lui. Grazie a tale recentissima pubblicazione abbiamo un “testamento” kelseniano. Qui Kelsen individua due errori sul piano scientifico:
    1. Individuazione di falsi parallelismi;
    2. Errore di tipo concettuale, come la formulazione della concezione della religione senza dio (secolare).
Una delle critiche centrali del libro è quella riportata al punto 2a. Quello che fa Kelsen è quello di ragionare sul concetto di religione secolare. Egli contesta l’interpretazione di certi aspetti della modernità come delle forme della religione. Il primo parallelismo è quello che si basa sull’intensità dei sentimenti: Kelsen si colloca in un contesto in cui lo sposare un’ideologia politica non deve essere coniugato con la religione (come invece preferivano fare Raymond ARON, Jules MONNEROT, Crane BRINTON). L’ideologia del progresso è il progredire della storia verso un fine ultimo: questo non prevede una ESCATOLOGIA. L’ideologia del progresso porta ad un continuo miglioramento dell’uomo: non grazie a dio, ma perché l’uomo si garantisce grazie all’innovazione tecnologica il progresso. È molto diverso dall’idea del progredire da un punto di vista escatologico. Il pensiero cristiano è, invece, l’esatto opposto: il futuro sarà migliore? È una forma di credo religioso. L’idea che la fiducia nel progresso non prevede un momento ultimo è molto diverso dall’idea per cui ci sarà una fine da un punto di vista religioso. I parallelismi quindi possono essere fatti, ma non bisogna scordare mai che tali rimangono: bisogna sempre tenere distinti i due ambiti.
Un’ideologia politica può essere vissuta così intensamente da potere essere interpretata come una forma di credo religioso. Vista l’intensità di questi sentimenti, ARON interpreta questo sentimento come una forma di religione secolare; secondo BRINTON anche il sentimento di coesione nazionale è una forma di religione secolare (grande intensità). Queste, per Kelsen, sono fallacie logiche. Come posso concludere che una riflessione su un’idea cambia la natura dell’idea stessa? Si farebbe risultare che una dottrina è una religione anche quando tale dottrina non lo è: Kelsen afferma che se così fosse allora anche chi crede intensamente che una teoria scientifica è perfetta ha un credo religioso (ma come posso accostare “scienza” a “religione”?). La natura della verità scientifica differisce in maniera FONDAMENTALE dalla verità religiosa (il contenuto cambia radicalmente, indipendentemente dall’intensità). Sulla scia di questi falsi parallelismi, vi è la critica dei valori supremi.
CRITICA DEI VALORI SUPREMI
Kelsen è convinto che non sia possibile determinare cosa sia buono in assoluto: vi sono dei limiti intrinseci derivanti dal fatto che i contenuti di una certa morale sono diversi per ogni società. Ognuno, quindi, sceglierà una forma congeniale al proprio sistema di valori morali. È più importante la libertà individuale o viceversa? Ogni sistema od ordinamento morale presuppone la scelta di un valore supremo: il marxismo, i totalitarismi…determinano dei valori supremi che devono essere considerati come fondamentali di una società. Kelsen li critica perché afferma che anche qui vi è un parallelismo tra religione e valori supremi…ma vi è una DIFFERENZA! I valori supremi si ritiene che siano determinati da una volontà superiore a quella dell’uomo. Anche in questo caso c’è la analogia ma manca l’aspetto della fondazione nella trascendenza.
Kelsen utilizza questa critica: vi sono delle differenze in termini di contenuti da cui non si può prescindere. “Un valore supremo in senso religioso è un valore stabilito dalla volontà di Dio in quanto essere soprannaturale; in questo caso l’aggettivo supremo è lo stesso significato che si riferisce a Dio. Un valore supremo nel senso non religioso ha lo stesso significato che ha nel modo di dire <la corte suprema>, in ambito, cioè, totalmente umano, che non fa in alcun modo riferimento alla sfera religiosa”.
Coloro che teorizzano scienze politiche novecentesche teorizzano religioni secolari: questa idea è criticata da Kelsen, il quale afferma che non è possibile pensare una religione senza un dio. L’autocontraddizione consiste in questo, nell’ipotizzare una teologia secolare, senza alcun tipo di contenuto religioso. Kelsen auspicava ed era sicuro che potesse esistere una morale separata dalla religione.
Kelsen si accorge che alcuni che appoggiano l’idea di una religione secolare non fanno riferimento ad un’entità trascendente, ma fanno riferimento semplicemente ad una religione “atea”, concepita come “sentimento del sacro” (fa riferimento a Bertrand Russell).

C’è qualcosa che accomuna sia l’autore confutato che il confutante (Russell e Kelsen): in fondo sia Russell sia Kelsen ritengono che ci sia inscindibilità tra la l’esperienza religiosa e l’esperienza del sacro. Si può davvero ritenere ciò? È davvero impossibile pensare ad un’esperienza del sacro indipendente dalla natura religiosa? Una risposta NEGATIVA arriva da un antropologo, Isidoro Moreno Navarro, che afferma che tale equivalenza è falsa e che tale idea nasce dal fatto che siamo troppo spesso portati a pensare ad un sistema di opposizioni. Invece di un’opposizione polare è opportuno sostituire un sistema di opposizione che si impernia sull’asse religioso/laico e l’asse sacro/secolare. Spesso, grazie a questa schematizzazione a croce greca (+) si può sacralizzare qualcosa di laico (la Costituzione può essere una religione? Beh, è più probabile che la Costituzione, qualcosa di laico, può essere sacralizzato).

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