HANS KELSEN – Religione Secolare
È un libro che Kelsen non ha
pubblicato in vita e che è stato pubblicato postumo. È stato scritto a partire
dagli anni 50 solo dopo averlo lungamente rielaborato, Kelsen lo ritirò dalle
stampe nel 1964. A distanza di 50 anni dal ritiro dell’opera l’istituito di
Vienna a lui dedicato ha deciso di pubblicare tale libro. Il libro è uscito per
la prima volta nel 2012. Già nel 1939 Kelsen viveva negli Stati Uniti, dopo
essersi rifugiato a Ginevra. Dagli anni 40 fino al 1971 visse in America.
Quando un giovane studioso (nel 1965) domandò a Kelsen che fine avesse fatto
questo libro, Kelsen rispose che era stato scritto da un OLD MAN e che non era
degno di lui. Il vigore e il rigore delle argomentazioni sembrano smentire le
parole appena riportate dall’autore: rimangono ancora parole ignote.
L’argomento di questo libro è ben delineato dal sottotitolo: “una polemica
contro la interpretazione errata della filosofia sociale e della scienza e
della politica moderna come nuove religioni.” In un clima di rinascente
religiosità, dal punto di vista metodologico Kelsen analizza gli autori contro
cui polemizza, riferendosi ad un grande classico del pensiero: questo è lo
schema che si riproduce in tutto il libro. Ma quali sono i classici interpretati
erroneamente? Agostino, Comte, Nietzsche, Marx, Proudhon…
Questa è la struttura che rimane
costante negli anni: non è un’opera di filosofia del diritto. È un’opera NON
eccentrica rispetto alla filosofia del diritto di Kelsen né tanto meno rispetto
alla teoria pura del diritto di Kelsen. Con questa opera Kelsen difende
l’articolata indagine scientifica dei fenomeni sociali (etica, concepita come
scienza sociale normativa; scienze causali, scienze che indagano i fenomeni
sociali secondo il principio di causalità). Kelsen adotta questa
classificazione delle scienze. Uno dei punti qualificanti consiste nella
denuncia dei rischi legati alla individuazione di parallelismi all’interno di
varie discipline.
- Kelsen
si rivolge contro quel tentativo di diversi autori di varie
interpretazioni di fenomeni sociali (come l’interpretazione del PROGRESSO
nell’Illuminismo). Il primo manoscritto che Kelsen produce è la recensione
del libro di Voegelin ma si rifiutò di pubblicarla: il clima politico
statunitense infatti non era favorevole a chi avesse idee filo-comuniste. Questa
lettera del 1955, rintracciata grazie alla fondazione Hans Kelsen,
documenta la genesi di quest’opera nel desiderio di confutare questa
tendenza degli studi del suo tempo. È interessante che in questa prima
stesura la lettera si chiami “difesa della modernità”. Questo scritto è
tuttora conservato, nonostante le sue tracce siano state perse per qualche
tempo. In altri tempi, successivi al 1955, compare un altro titolo:
“religion without God?”. Nel 1964, invece, viene pubblicato con il titolo
definitivo: “Secular religion”. A partire da queste bozze è stato redatto
il libro pubblicato nel 2012. Quando si pubblica un’opera postuma lo
scrupolo è quello dell’opportunità della pubblicazione. Ecco che allora v’è
una testimonianza del biologo di Kelsen, il quale dice che K. avrebbe
ritirato questo scritto perché non più convinto di una certa concezione
della religione.
- Kelsen
non rifiutò mai in maniera rigida la religione, ma si interrogò sempre sul
significato e sulla funzione di essa. C’è un’ulteriore lettera, del 1963,
che è uno vero e proprio scambio epistolare con un suo collega
dell’università della California, in cui Kelsen dice sorridendo che un
giorno questo libro l’avrebbe potuto pubblicare lui. Grazie a tale
recentissima pubblicazione abbiamo un “testamento” kelseniano. Qui Kelsen
individua due errori sul piano scientifico:
- Individuazione
di falsi parallelismi;
- Errore
di tipo concettuale, come la formulazione della concezione della
religione senza dio (secolare).
Una delle critiche centrali del
libro è quella riportata al punto 2a. Quello che fa Kelsen è quello di
ragionare sul concetto di religione secolare. Egli contesta l’interpretazione
di certi aspetti della modernità come delle forme della religione. Il primo
parallelismo è quello che si basa sull’intensità dei sentimenti: Kelsen si
colloca in un contesto in cui lo sposare un’ideologia politica non deve essere
coniugato con la religione (come invece preferivano fare Raymond ARON, Jules
MONNEROT, Crane BRINTON). L’ideologia del progresso è il progredire della
storia verso un fine ultimo: questo non prevede una ESCATOLOGIA. L’ideologia
del progresso porta ad un continuo miglioramento dell’uomo: non grazie a dio,
ma perché l’uomo si garantisce grazie all’innovazione tecnologica il progresso.
È molto diverso dall’idea del progredire da un punto di vista escatologico. Il
pensiero cristiano è, invece, l’esatto opposto: il futuro sarà migliore? È una
forma di credo religioso. L’idea che la fiducia nel progresso non prevede un
momento ultimo è molto diverso dall’idea per cui ci sarà una fine da un punto
di vista religioso. I parallelismi quindi possono essere fatti, ma non bisogna
scordare mai che tali rimangono: bisogna sempre tenere distinti i due ambiti.
Un’ideologia politica può essere
vissuta così intensamente da potere essere interpretata come una forma di credo
religioso. Vista l’intensità di questi sentimenti, ARON interpreta questo
sentimento come una forma di religione secolare; secondo BRINTON anche il
sentimento di coesione nazionale è una forma di religione secolare (grande
intensità). Queste, per Kelsen, sono fallacie logiche. Come posso concludere
che una riflessione su un’idea cambia la natura dell’idea stessa? Si farebbe
risultare che una dottrina è una religione anche quando tale dottrina non lo è:
Kelsen afferma che se così fosse allora anche chi crede intensamente che una
teoria scientifica è perfetta ha un credo religioso (ma come posso accostare
“scienza” a “religione”?). La natura della verità scientifica differisce in
maniera FONDAMENTALE dalla verità religiosa (il contenuto cambia radicalmente,
indipendentemente dall’intensità). Sulla scia di questi falsi parallelismi, vi
è la critica dei valori supremi.
CRITICA DEI VALORI SUPREMI
Kelsen è convinto che non sia
possibile determinare cosa sia buono in assoluto: vi sono dei limiti intrinseci
derivanti dal fatto che i contenuti di una certa morale sono diversi per ogni
società. Ognuno, quindi, sceglierà una forma congeniale al proprio sistema di
valori morali. È più importante la libertà individuale o viceversa? Ogni
sistema od ordinamento morale presuppone la scelta di un valore supremo: il
marxismo, i totalitarismi…determinano dei valori supremi che devono essere
considerati come fondamentali di una società. Kelsen li critica perché afferma
che anche qui vi è un parallelismo tra religione e valori supremi…ma vi è una
DIFFERENZA! I valori supremi si ritiene che siano determinati da una volontà
superiore a quella dell’uomo. Anche in questo caso c’è la analogia ma manca
l’aspetto della fondazione nella trascendenza.
Kelsen utilizza questa critica:
vi sono delle differenze in termini di contenuti da cui non si può prescindere.
“Un valore supremo in senso religioso è un valore stabilito dalla volontà di
Dio in quanto essere soprannaturale; in questo caso l’aggettivo supremo è lo
stesso significato che si riferisce a Dio. Un valore supremo nel senso non
religioso ha lo stesso significato che ha nel modo di dire <la corte
suprema>, in ambito, cioè, totalmente umano, che non fa in alcun modo
riferimento alla sfera religiosa”.
Coloro che teorizzano scienze
politiche novecentesche teorizzano religioni secolari: questa idea è criticata
da Kelsen, il quale afferma che non è possibile pensare una religione senza un
dio. L’autocontraddizione consiste in questo, nell’ipotizzare una teologia
secolare, senza alcun tipo di contenuto religioso. Kelsen auspicava ed era
sicuro che potesse esistere una morale separata dalla religione.
Kelsen si accorge che alcuni che
appoggiano l’idea di una religione secolare non fanno riferimento ad un’entità
trascendente, ma fanno riferimento semplicemente ad una religione “atea”,
concepita come “sentimento del sacro” (fa riferimento a Bertrand Russell).
C’è qualcosa che accomuna sia
l’autore confutato che il confutante (Russell e Kelsen): in fondo sia Russell
sia Kelsen ritengono che ci sia inscindibilità tra la l’esperienza religiosa e
l’esperienza del sacro. Si può davvero ritenere ciò? È davvero impossibile
pensare ad un’esperienza del sacro indipendente dalla natura religiosa? Una
risposta NEGATIVA arriva da un antropologo, Isidoro Moreno Navarro, che afferma
che tale equivalenza è falsa e che tale idea nasce dal fatto che siamo troppo
spesso portati a pensare ad un sistema di opposizioni. Invece di un’opposizione
polare è opportuno sostituire un sistema di opposizione che si impernia
sull’asse religioso/laico e l’asse sacro/secolare. Spesso, grazie a questa
schematizzazione a croce greca (+) si può sacralizzare qualcosa di laico (la
Costituzione può essere una religione? Beh, è più probabile che la
Costituzione, qualcosa di laico, può essere sacralizzato).
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