martedì 28 aprile 2015

14^ LEZIONE DI ECONOMIA DELLE ISTITUZIONI.

Anche in Giappone c’è una banca di riferimento e per quanto riguarda il lavoro non vi sono istituzioni di tipo formale ma di tipo informale, orientate alla stabilità del posto di lavoro. Questo modello è andato bene fino agli inizi degli anni 90: poi si è pretesa (da parte degli USA) una certa apertura nei confronti delle imprese straniere e una capitalizzazione. Il problema delle partecipazioni incrociate merita approfondimento: se una impresa compra delle quote di un capitale di un’altra impresa con i soldi versati dai primi soci, la prima impresa avrà capitale pari ad un milione e la seconda pari a 600.000 euro. Il capitale effettivo della prima non è 1.600.000, ma è 1.300.000, in quanto i restanti 300.000 euro arrivano da altre fonti.
La stabilità dell’azionariato in Giappone consente di guardare nel lungo periodo: gli azionisti sono interessati ad un controllo più puntuale del management leale, in quanto ognuno aspira ad avere controllo nel CdA.
LIMITI
Vi sono dei grandi sforzi di mediazione richiesti al management (lentezze decisionali, difficoltà nel riorientare le strategie, tollerate inefficienze per non turbare il consenso).
Volendo saldare questo argomento con i costi di transazione, bisogna tener presente che l’impresa è un mercato. Essa è infatti una forma di organizzazione dei processi produttivi alternativa al mercato.
Coase: egli afferma che bisogna confrontare i costi d’uso del mercato (costi di transazione) e i costi organizzativi (efficienza dell’organizzazione): questo porta a decidere se internalizzare i processo o “farli fare fuori”. Usare il mercato, infatti, può costare, costi che possono essere monetari o meno.
Far fare “tutto dentro” prevede una grande organizzazione (difficile da realizzare in Italia). Le organizzazioni, naturalmente, possono essere non efficienti.
HOLD UP: anche questo è legato ai problemi sopra enunciati. È la decisione di allargare l’organizzazione all’interno dell’impresa per evitare di coinvolgere imprenditori esterni. I fornitori, infatti, sono spesso riluttanti ad investire in modo specifico: internalizzare i processi produttivi è dovuto proprio agli elevati costi di transazione.
(pagina 128 e seguenti non farle, così come la teoria dei diritti di proprietà)
LA CRISI AZIENDALE
Da un punto di vista teorico è importante per l’efficienza del mercato che le risorse siano allocate nel migliore dei modi. Le procedure concorsuali sono quelle procedura che portano all’incentivo all’efficienza ed alla responsabilità delle scelte imprenditoriali.
Questo ha ripercussioni sul credito bancario, sulla fiducia nelle relazioni tra imprese. Se l’impresa va male il tutto è dovuto a carenza di liquidità. L’insolvenza della impresa può causare grossi problemi alle banche, a chi finanzia…c’è bisogno di procedure rapide ed efficienti.
Bisogna sfatare un luogo comune: se l’impresa perde, essa fallisce? La crisi dell’impresa è data da mancanza di liquidità: non riesce a pagare i debiti, i salari, le rate del mutuo…il problema fondamentale è che il termometro della crisi aziendale è la incapacità dell’impresa a pagare nei tempi previsti i suoi fornitori. Ovviamente ci possono essere carenze momentanee di liquidità, ma se la cosa diventa generalizzata, questo può indurre ad aprire una crisi. Se l’impresa non riesce a pagare nei tempi dovuti, questo è dovuto perché mancano soldi in cassa. Il capitale dell’impresa è in parte immobilizzato? Esso non si può liquidare: c’è una composizione del capitale troppo immobilizzata e troppo poco liquida. La perdita, in realtà, non è la causa immediata di insolvenza. È chiaro che l’impresa perde per troppo tempo consecutivamente, i soldi poi scarseggiano.
L’eccesso di debiti non comporta insolvenza: uno può avere tanti debiti ma i suoi creditori possono essere pazienti e fiduciosi. Il vero problema è la liquidità. Questo deriva da una mancata ed accurata pianificazione da parte dell’imprenditore: il fallimento deriva dal fatto di voler crescere troppo o di puntare su un prodotto che poi non vende. Negli ultimi anni la crisi dell’impresa è dovuta a carenza di liquidità.
Ma quali solo le soluzioni?
IL FALLIMENTO: liquidazione dell’attività per il soddisfacimento dei creditori;
IL CONCORDATO: recupero dell’attività attraverso la rinegoziazione dei debiti.
Il fallimento è un procedimento amministrativo: si nomina un liquidatore che ferma l’attività o che decide di proseguirla per ottenere di più.
Il concordato è una procedura più morbida che non ferma l’impresa ma che rinegozia i debiti. Si “azzera” la posizione.
Ovviamente lo scopo di procedure concorsuali ben organizzate è quello di impedire la corsa dei creditori al soddisfacimento dei loro crediti nel momento in cui si manifesta la crisi aziendale. L’obiettivo è:
A)     Massimizzare l’attivo aziendale per assicurare la massima copertura dei debiti in caso di fallimento;
oppure
B)     Salvare l’attività imprenditoriale (se meritevole) rinegoziando le obbligazioni senza favoritismi.
Nel caso di FALLIMENTO:

  1. Viene tolta la disponibilità del patrimonio all’imprenditore e trasferita ad un curatore nominato dall’autorità giudiziaria;
  2. Vengono venduti i beni (liquidazione), cessa l’attività aziendale per favorire la liquidazione dell’attivo;
  3. Il capitale monetario recuperato viene ripartito tra i creditori; ordine di priorità (prima i curatori e spese processuali, poi crediti privilegiati e garantiti, poi tutto il resto).

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