Anche in Giappone c’è una banca di riferimento e per
quanto riguarda il lavoro non vi sono istituzioni di tipo formale ma di tipo
informale, orientate alla stabilità del posto di lavoro. Questo modello è
andato bene fino agli inizi degli anni 90: poi si è pretesa (da parte degli
USA) una certa apertura nei confronti delle imprese straniere e una
capitalizzazione. Il problema delle partecipazioni incrociate merita
approfondimento: se una impresa compra delle quote di un capitale di un’altra
impresa con i soldi versati dai primi soci, la prima impresa avrà capitale pari
ad un milione e la seconda pari a 600.000 euro. Il capitale effettivo della
prima non è 1.600.000, ma è 1.300.000, in quanto i restanti 300.000 euro
arrivano da altre fonti.
La stabilità dell’azionariato in Giappone consente di
guardare nel lungo periodo: gli azionisti sono interessati ad un controllo più
puntuale del management leale, in quanto ognuno aspira ad avere controllo nel
CdA.
LIMITI
Vi sono dei grandi sforzi di mediazione richiesti al
management (lentezze decisionali, difficoltà nel riorientare le strategie,
tollerate inefficienze per non turbare il consenso).
Volendo saldare questo argomento con i costi di
transazione, bisogna tener presente che l’impresa è un mercato. Essa è infatti
una forma di organizzazione dei processi produttivi alternativa al mercato.
Coase: egli afferma che bisogna confrontare i costi d’uso
del mercato (costi di transazione) e i costi organizzativi (efficienza
dell’organizzazione): questo porta a decidere se internalizzare i processo o
“farli fare fuori”. Usare il mercato, infatti, può costare, costi che possono
essere monetari o meno.
Far fare “tutto dentro” prevede una grande organizzazione
(difficile da realizzare in Italia). Le organizzazioni, naturalmente, possono
essere non efficienti.
HOLD UP: anche questo è legato ai problemi sopra
enunciati. È la decisione di allargare l’organizzazione all’interno
dell’impresa per evitare di coinvolgere imprenditori esterni. I fornitori,
infatti, sono spesso riluttanti ad investire in modo specifico: internalizzare
i processi produttivi è dovuto proprio agli elevati costi di transazione.
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e seguenti non farle, così come la teoria dei diritti di proprietà)
LA CRISI AZIENDALE
Da un punto di vista teorico è importante per
l’efficienza del mercato che le risorse siano allocate nel migliore dei modi.
Le procedure concorsuali sono quelle procedura che portano all’incentivo
all’efficienza ed alla responsabilità delle scelte imprenditoriali.
Questo ha ripercussioni sul credito bancario, sulla
fiducia nelle relazioni tra imprese. Se l’impresa va male il tutto è dovuto a
carenza di liquidità. L’insolvenza della impresa può causare grossi problemi
alle banche, a chi finanzia…c’è bisogno di procedure rapide ed efficienti.
Bisogna sfatare un luogo comune: se l’impresa perde, essa
fallisce? La crisi dell’impresa è data da mancanza di liquidità: non riesce a
pagare i debiti, i salari, le rate del mutuo…il problema fondamentale è che il
termometro della crisi aziendale è la incapacità dell’impresa a pagare nei
tempi previsti i suoi fornitori. Ovviamente ci possono essere carenze
momentanee di liquidità, ma se la cosa diventa generalizzata, questo può
indurre ad aprire una crisi. Se l’impresa non riesce a pagare nei tempi dovuti,
questo è dovuto perché mancano soldi in cassa. Il capitale dell’impresa è in
parte immobilizzato? Esso non si può liquidare: c’è una composizione del
capitale troppo immobilizzata e troppo poco liquida. La perdita, in realtà, non
è la causa immediata di insolvenza. È chiaro che l’impresa perde per troppo
tempo consecutivamente, i soldi poi scarseggiano.
L’eccesso di debiti non comporta insolvenza: uno può
avere tanti debiti ma i suoi creditori possono essere pazienti e fiduciosi. Il
vero problema è la liquidità. Questo deriva da una mancata ed accurata
pianificazione da parte dell’imprenditore: il fallimento deriva dal fatto di
voler crescere troppo o di puntare su un prodotto che poi non vende. Negli
ultimi anni la crisi dell’impresa è dovuta a carenza di liquidità.
Ma quali solo le soluzioni?
IL FALLIMENTO: liquidazione dell’attività per il
soddisfacimento dei creditori;
IL CONCORDATO: recupero dell’attività attraverso la
rinegoziazione dei debiti.
Il fallimento è un procedimento amministrativo: si nomina
un liquidatore che ferma l’attività o che decide di proseguirla per ottenere di
più.
Il concordato è una procedura più morbida che non ferma
l’impresa ma che rinegozia i debiti. Si “azzera” la posizione.
Ovviamente lo scopo di procedure concorsuali ben
organizzate è quello di impedire la corsa dei creditori al soddisfacimento dei
loro crediti nel momento in cui si manifesta la crisi aziendale. L’obiettivo è:
A)
Massimizzare
l’attivo aziendale per assicurare la massima copertura dei debiti in caso di
fallimento;
oppure
B)
Salvare
l’attività imprenditoriale (se meritevole) rinegoziando le obbligazioni senza
favoritismi.
Nel caso di FALLIMENTO:
- Viene tolta la disponibilità
del patrimonio all’imprenditore e trasferita ad un curatore nominato
dall’autorità giudiziaria;
- Vengono venduti i beni
(liquidazione), cessa l’attività aziendale per favorire la liquidazione
dell’attivo;
- Il capitale monetario
recuperato viene ripartito tra i creditori; ordine di priorità (prima i
curatori e spese processuali, poi crediti privilegiati e garantiti, poi
tutto il resto).
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