venerdì 20 marzo 2015

6^ LEZIONE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO.

RIASSUNTO DELL’ULTIMA LEZIONE
I capi di imputazione: reato plurioffensivo (ha colpito almeno due valori tutelati dal diritto ebraico, con processo svolto davanti al Sinedrio): blasfemia, perché Gesù confessa pubblicamente pronunciando il tetragramma biblico (e avviene più volte); (ha colpito anche il diritto romano): lesa maiestatis (Gesù dice: io sono re) contro Tiberio (risposta alla domanda di Pilato).
Le accuse devono essere provate se si tratta di processo: la prova nel Sinedrio è tentata con i testimoni; questa prova viene richiesta più volte da Pilato (la confessione pubblica di Gesù costituisce la prova giuridica che costituirà la prova della colpevolezza di Gesù). La sua non è testimonianza (sarebbe racconto di un terzo), ma è confessione pubblica (ve ne sono due: lui è il figlio di dio e lui è re). Nel processo di fronte al Sinedrio non si arriva a decisione definitiva (il processo a Gesù ha struttura unitaria divisa in fasi). Il prof. Miglietta ha detto chiaramente che pronuncia una sentenza (l’esecuzione stessa della condanna costituisce un modo ulteriore di conferma che fosse sentenza e non altro). La motivazione della sentenza: essendo delitto plurioffensivo, la motivazione è duplice e ciò si vede nel TITULUS CRUCIS (greco, latino e ebraico). La motivazione della sentenza (INRI) si riferisce non a Gesù NAZARENO, ma a Gesù il predicatore e a colui che ha leso la maestà di Tiberio ed, indirettamente, di Pilato. Il contraddittorio riassume sinteticamente un processo molto articolato; prova e il giudizio (fasi riassunte brevemente).
Questo era un primo esempio paradigmatico del fenomeno giuridico del processo. Vi è nella storia dell’antichità un altro esempio paradigmatico che costituisce un modo di procedere che è interessante e vicino a certe idee della difesa della giustizia nei processi. Questo è il processo a Socrate di Atene (399 a.C.). Questi esempi sono tali perché storici, filosofici e culturali e costituiscono sviluppi ulteriori di una necessaria attenzione al processo (e quindi guardare all’esperienza).
L’ “APOLOGIA DI SOCRATE” di Platone
È un resoconto giudiziario di questo processo: la lettura di questo testo è importante per individuare il più importante del processo in età classica. Il processo di Socrate dà indicazioni sulla struttura giuridica attuale e ci dà un’idea sul “come” Socrate si difende nel processo: da qui si trarranno delle conclusioni che indicheranno in che senso dobbiamo parlare di “difesa” e quindi di “filosofia”. Chi assume una prospettiva processuale si deve rifare agli schemi classici, inaugurati da Socrate. Il processo è l’origine storica del diritto (il richiamo storico è fondamentale): il processo è un paradigma pratico per capire il diritto; il processo è, infine, il metodo di discussione e composizione della controversia giuridica (come si è già visto dal processo a Gesù). Per esaminare questo c’è bisogno di capire l’Apologia di Socrate.
Il processo ci è noto grazie a Platone (Socrate non scrisse nulla): il suo insegnamento fu orale e solo ed esclusivamente tale. Il racconto di Platone illustra la difesa che sostenne in proprio Socrate, quale imputato di un’accusa da Meleto. Anito fu ideatore dell’iniziativa e Licone ne ideò la procedura. Il processo durò una sola giornata: si svolge in una forma piuttosto interessante. Infatti si svolge in una forma del tipico giusto processo (Socrate si può difendere, c’è l’escussione dei testimoni…). L’apologia di Socrate è un dialogo: è la fase del discorso difensivo di Socrate. Si presuppone che le regole prevedessero che prima parla l’accusa e poi la difesa (nel processo si doveva leggere i capi di imputazione): empietà e corruzione dei giovani. Empietà significa non credere negli dei e introdurre nuove divinità; la corruzione dei giovani viene veicolata attraverso i suoi insegnamenti. Lo schema del racconto è il seguente:
-        Il primo discorso in difesa. Per difendere le accuse rivoltegli. Riguarda la critica dei capi di imputazione illustrati nel processo e le calunnie che molti diffondevano contro di lui.
-        Critica delle accuse.
o   Esordio;
o   Esposizione dei criteri di difesa;
o   Critica dei primi accusatori. Contestazione delle calunnie.
o   Critica dei successivi accusatori. Contestazione dell’atto di accusa. Vero e primo atto della difesa di Socrate. È attestato da Diogene Laerzio che Socrate rifiutò Lisia: Socrate utilizzò un metodo diverso per difendersi. La difesa avviene punto per punto.
  1. Contestazione dell’accusa di corrompere i giovani.
  2. Contestazione dell’accusa di non credere negli dei.
-        Il metodo filosofico.
-        La vita politica.
-        I testimoni.
-        Conclusioni della difesa.

-        Il secondo discorso in difesa. Critica della prima votazione e proposta di una pena alternativa. Il giudizio si svolge davanti alla BOULE’ (500 cittadini) e la sentenza viene da loro deliberata a maggioranza. Il voto sarà sfavorevole a Socrate e Socrate critica la prima votazione. Le leggi di allora, infatti, prevedevano che il condannato potesse scegliere una pena alternativa.

-        Il terzo discorso in difesa. Critica della seconda votazione. Non era prassi.
1.     Messaggio ai giudici della condanna.
2.     Messaggio ai giudici della assoluzione.
3.     Conclusione. Condanna a morte del filosofo.
Questo non è il verbale processuale così come è ESATTAMENTE e RIGOROSAMENTE avvenuto, ma è una struttura letteraria che, tuttavia, corrisponde grossomodo alla fase difensiva che Socrate pronuncia. Qualcuno ha criticato Platone per la tecnica del dialogo: questo è un MONOLOGO, secondo alcuni, con cui Socrate conferma la sua abilità affabulatoria. Socrate, in realtà, dialoga con i suoi accusatori e dialoga “a braccio” (non legge la propria difesa scritta, gli avvocati di Atene erano veri e propri oratori, erano chiamati LOGOGRAFI, e si presupponeva che l’imputato leggesse l’orazione in tribunale).
Questa situazione, così schematizzata, ci indica non solo il metodo logografico, ma anche il sistema utilizzato da Socrate che inserisce un metodo detto “classico della difesa giudiziale”. I canoni di questo metodo rispondo a quelli del giusto processo odierno.
QUALI SONO I CRITERI GENERALI DELLA DIFESA?
-        “Ho passato tutta la vita a preparare la mia difesa”.
-        “Non sentirete da me discorsi ornati con belle frasi e con belle parole, come quelli di costoro, e neanche ben ordinati. Udrete, invece, cose dette un po’ a caso, con le parole che mi capitano”.
-        “Bene! Allora devo difendermi, cittadini ateniesi, e devo cercare di rimuovere da voi, in così poco tempo, quella calunnia che vi tenete dentro da molto tempo. (…) In ogni caso, vada come è caro al dio; bisogna ubbidire alla legge e difendersi!”

1.     Rifiuta i criteri della retorica ERISTICA dell’epoca (non si fa difendere da Lisia): non voleva strumenti tecnici per persuadere il giudice. Senofonte dice che si rifiuta di far uso di Lisia perché Socrate ha passato tutta la vita a preparare la sua difesa (non ha bisogno di avvocati). È un dialogo che si basa sul confronto, con uso della parola che deriva da accurata riflessione e applicazione di metodo evidentemente riguardante l’esperienza quotidiana.
2.     Socrate, con la seconda frase, fa riferimento ai suoi accusatori (Licone e Meleto). La seconda caratteristica è l’apparente disordine con cui Socrate pronuncerà la sua difesa. “Mi difendo da solo per fare vedere come sono in grado di difendermi da solo in tribunale”.
3.     Socrate, con la terza frase, infine, dimostra il dovere giuridico che ogni imputato ha nell’Atene di quel secolo (dovere giuridico di PARLARE). Chi viene citato in giudizio DEVE difendersi. C’è chiaro riferimento anche alla legge di Solone del VI secolo in cui si obbligava a PARLARE. Chi non si atteneva a questa legge, commetteva quel delitto del quale Socrate veniva accusato. Egli afferma che bisogna UBBIDIRE alla legge e difendersi. Anche oggi nel processo penale l’imputato deve difendersi (deve munirsi di avvocato, anche d’ufficio).
FONDAMENTI DEL RAGIONAMENTO DI SOCRATE
“So di non sapere”. È la consapevolezza che ogni conoscenza umana non è mai esaustiva né tanto meno definitiva. L’uomo è ignorante, indigente di verità; ogni conoscenza umana ha poco valore. Di questo il vero sapiente è consapevole. Sa di essere ignorante: non sa niente, ma almeno lo sa. Questo lo si vede nel passo dell’Apologia in cui Socrate dice che Cherefonte, dopo aver interrogato l’oracolo di Delfi, dice che il più sapiente tra gli uomini è Socrate. E Socrate spiega che è tale perché SA DI NON SAPERE. Su questa notissima filosofia (anche detta “dotta ignoranza”) si è basata l’idea dell’uomo che deve sempre cercare la verità e la sapienza.
Secondo elemento è la COSCIENZA CRITICA: Socrate nel suo processo tra i vari argomenti dice che lui muove ad Atene il suo insegnamento in base al principio per cui cerca sempre di fare qualcosa, ma esiste un DAIMON (spirito interiore) che mi impedisce di fare questa cosa. Nella mia coscienza c’è sempre un limite, un ostacolo che mi impedisce di andare oltre e di eccedere. C’è sempre un momento di riflessione che mi vieta di andare oltre questo limite. Questa voce interiore non si è fatta sentire stavolta, lo autorizza a continuare su questa difesa (come sopra delineata). Socrate riprenderà il ragionamento anche nella fase successiva del processo (esecuzione condanna): la deroga prevede che Socrate non sia ucciso subito ma che sia ucciso qualora la nave di Argo riesca a giungere ad Atene. Questo è riportato nel Critone (Platone). Questo secondo dialogo sarà completato dal Fedone (dialogo sull’immortalità dell’Anima, che conclude l’esistenza di Socrate).
Esiste un limite strutturale alla soggettività umana che ci trattiene dal dovere porre in essere azioni che vadano oltre un certo limite. Questa attività della coscienza e che Socrate mostra con la metafora del DAIMON è critica (della CRISI). È una coscienza critica di se stessi e dell’altrui pretesa.
ATTIVITA’ METODOLOGICHE
Schematicamente possono essere indicate in quattro attività (analoghe ed assimilabili alle quattro attività che si svolgono nel giusto processo) che hanno valore giuridico-logico.
1.     È la principale (non così cronologicamente): è attività di confutazione (ELEGCOS), è tipica attività giudiziaria volta a fare ciò che ogni avvocato deve fare (contestazione dell’accusa) -- > smentire ciò che dice l’accusatore. Nella Grecia Classica il processo penale ha struttura privata (l’accusatore è un cittadino che denuncia il proprio avversario). Il cittadino in questione è spesso l’offeso (l’offesa più grave è verso gli dei e verso la città). L’accusa viene sostenuta dal PM, da un rappresentante pubblico. Il processo, quindi, si svolge fra le parti. Tutto il processo si basa sulla confutazione per contestare i capi d’accusa. La contestazione giuridica trova una precisa manifestazione nell’esperienza metodologica della confutazione.
2.     Tutto il processo è permeato dal dialogo: anche qui con la parola dialogo ci si riferisce alla parola DIALOGOS, che in greco soleva indicare il CONTRADDITTORIO GIURIDICO. Dialogo è l’interazione agonistica con il proprio avversario (non è conversazione amichevole, ma l’interrogazione confutante per provocare le risposte dell’avversario). L’intersezione delle domande e delle risposte è AGONISTICA. Tale forma dialogica è la forma platonica per l’Apologia. Dietro v’è un ragionamento che presenta questa forma in maniera costante. Questa attività si ripete continuamente: con i primi accusatori, con quelli presenti e con l’avversario in generale (paradossalmente anche con i giudici e i propri testimoni).
3.     Vi è una terza attività metodologica: è un’attività fondata sulla giustificazione di ciò che Socrate deve dire (è la PROVA al vaglio delle affermazioni. È, in sostanza, l’ESAME. Socrate si avvale di EXETASIS (test, esame, attività probante). Una delle più note affermazioni di Socrate per la necessità di usare questa attività è: “Una vita senza EXETASIS non è degna di essere vissuta”. Questa terza attività riguarda tutto lo svolgimento dell’attività difensiva. Dobbiamo sottoporre ad esame qualunque tipo di affermazione (perché sappiamo di non sapere, perché abbiamo una coscienza pensante…).

4.     È inevitabilmente l’attività del giudizio: in particolare tutto deve essere ricondotto al ragionamento. Cos’è il giudizio? È la necessità basata sul sapere di non sapere di mettersi a confronto con la tesi diversa dalla propria per arrivare ad una mediazione di questo confronto, per cercare di trovare degli spazi comuni con l’altro. La mentalità di Socrate è inclusiva: io includo il mio avversario nel mio stesso spazio perché devo sottopormi a giudizio. Questo avviene attraverso l’uso del LOGOS, della parola, è una civiltà della parola. È uso di giudizio. Socrate trova nel processo un motivo non tanto politico-religioso al quale contrapporre una propria posizione, ma ritrova nel processo un ambiente sacro, ideale per la manifestazione della propria filosofia. Questo modo di pensare presenta le stesse caratteristiche del giusto od equo processo.

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