venerdì 20 marzo 2015

5^ LEZIONE DI ECONOMIA DELLE ISTITUZIONI.

IL CONTROLLO SOCIALE
È un’attività fondamentale per l’organizzazione della nostra società e che garantisce efficienza dei contratti. Se tutti fanno la coda in modo ordinato (senza apprensione), ognuno arriva alla meta nel minor tempo possibile. Se tutti decidono di non fare la coda, vince il più forte, in seguito a tafferugli vari. Se A rispetta la coda e B no, A avrà un alto beneficio, mentre B ci perde. Se questa è l’impressione, tutti cercheranno di fare i furbi: la situazione diventa tesa e i benefici di A e B si pareggiano (a 0).
Potrebbe anche succedere che gli individui decidano di auto-punirsi o di auto-premiarsi: quella minima azione di approvazione in quanto Tizio ha rispettato la coda porta Tizio ad avere un beneficio pari a 10 (dato dal fatto che ha rispettato la coda) a cui sommare anche un generico X, dato dal segno di approvazione di chi vede che rispetta la fila.
All’opposto, se Tizio non rispetta la fila, avrà un beneficio pari a 12 (dato dal fatto che passa avanti a tutti, senza rispettare la fila), a cui SOTTRARRE un generico Y, dato dalle azioni di DISAPPROVAZIONE della gente che l’ha visto “delinquere”.


ULTIMATUM
È un gioco con il quale si divertono molto gli economisti comportamentisti, cercando di elaborare leggi del comportamento. Supponiamo che ci sia una somma di denaro da dividere tra due persone: le due persone raggiungono un accordo per dividere la quantità di 10 (per esempio). A propone; B può accettare. A propone di dividere a metà (5 e 5): la proposta è stata ritenuta FAIR (equa) e A e B si dividono 5 e 5. La proposta poteva essere rifiutata: finivano 0 a 0. A poteva fare una proposta UNFAIR (inaccettabile): 10 vengono divisi 8 e 2 rispettivamente. Se veniva rifiutata da B, entrambi finiscono 0 a 0.
Se il gioco viene ripetuto fra due persone che non si conoscono, è possibile che anche la proposta UNFAIR sia accettata. C’è la possibilità di punire la controparte se il gioco si ripete più volte.
DIRITTI DI PROPRIETA’
I contratti modificano le sfere giuridiche delle parti. Concludere contratti simili, significa trasferire dei diritti su beni da persona a persona. In economia si è ritenuto che il diritto di proprietà sia fondamentale per il funzionamento dello stato. In una visione liberale-classica, il libero mercato funziona autonomamente quando ognuno ha il controllo della propria sfera giuridica ed è titolare di una serie di diritti (anche entrando in relazione con altre persone). Rivendicare i diritti economici è tipico di un’ideologia socialista: per il liberale l’unico diritto tutelabile è quello di proprietà. Il punto di vista individualista è concentrato su questo elemento fondamentale che è appunto il diritto di proprietà. Nella tradizione classica-liberale ci sono le posizioni di:
-        Hobbes: i diritti di proprietà si definiscono con il contratto sociale (senza Stato i diritti non esistono). È solo vivendo in uno stato che l’individuo può vedere riconosciuti i propri diritti.
-        Locke: i diritti di proprietà sono naturali e precedenti il contratto sociale. I diritti ci sono e sono legati alla natura umana. Lo stato è solo una struttura che le persone creano per tutelare i loro diritti che, diversamente, potrebbero essere calpestati.
Se si guarda a questi scritti (che sono seicenteschi, tanto della prima quanto della seconda metà), vi si ritrova il diritto di proprietà TO A PERSON’S LIFE, LIMBS and LIBERTY as well as REPUTATION, HONOUR…
La proprietà della nostra vita, membra e libertà esattamente come la reputazione e l’onore. È quindi qualcosa che definisce la personalità del soggetto (anche qui è un concetto che riprende il concetto latino di SUUM). Il diritto di proprietà è una sfera giuridica che garantisce il controllo della persona per la sua conservazione e la sua difesa. Questa proprietà è ben più ampia di come la intendiamo noi. Questo diritti di AUTO-PROTEGGERSI si traduce nel diritto di escludere gli altri dall’influenzare questa sfera del SUUM. Il diritto di difesa di se stesso giustifica la possibilità di escludere altri dal godimento dei miei beni (dei beni di cui sono proprietario). La parte giuridica è l’ESCLUDIBILITA’: il fatto che io riesca a tenere lontano qualcuno dalla mia proprietà è una questione giuridica, che nasce come estensione della difesa personale. La proprietà così intesa è stata teorizzata come diritto relativo alla personalità e non come semplice DOMINIO sui beni. Oggi il concetto così inteso si è (purtroppo) impoverito in un potere di controllo sui beni (e non più come difesa dell’individuo).
DIRITTI DI PROPRIETA’: INDIVIDUALI o COLLETTIVI?
Vi potrebbe essere un bene che non fa parte della sfera giuridica di nessuno: è RES NULLIUS (è bene occupabile).
Vi potrebbe essere un bene che fa parte della comunità: è COMMONS e non è occupabile (in quanto è di proprietà di tanti, di diverse persone). Sono generalmente controllati da qualche rappresentante o da qualche ente.
Vi potrebbe essere un bene che fa parte di un individuo.
Nella letteratura economica (Garret Hardin, 1968, Tragedy of commons): la mancanza dei diritti individuali porta al sovra sfruttamento dei beni (ricordiamo come esempio la pesca). L’idea fondamentale è che certi beni (non oggetto di proprietà individuali) portano al sovra sfruttamento di beni la cui utilizzazione è libera. Questo ragionamento è chiaro quando si parla di RES NULLIUS (i beni hanno valore economico: perché non vendemmiare finché possibile? Perché non estrarre il petrolio finché c’è? Sono solo pochi esempi). L’uso, naturalmente, non è razionale. Questo è il ragionamento di chi vuole apporre quelle barriere tecniche che garantiscono la escludibilità dall’uso indiscriminato di chiunque. Le risorse che non hanno un costo, in questa idea, vengono usate in maniera “avventata”. Il problema, nel caso dei commons, è un po’ più complesso e dibattuto.
Hardin, e molti altri economisti americani contemporanei (come Ostrom), dimostrano che nella storia si è rivelato essere molto efficiente gestire risorse sotto forma di proprietà comuni, con il rispetto di regole di qualità, che portino al giusto sfruttamento della risorse comuni. I beni comuni hanno spesso bisogno di una amministrazione. Per esempio la regolazione del bene “acqua” è un proprietà su UN SERVIZIO collettivo (non sul bene!). Riuscire a gestire delle risorse comuni può essere molto efficiente (ma può essere anche molto costoso).
TEORIE DELLA PROPRIETA’
1)     Si ha la proprietà privata da teorie naturali (è la natura umana che richiede la proprietà privata): così succede con tante cose che appartengono alla mia sfera. La teoria naturale della proprietà la fa derivare dalla natura umana. La proprietà è un BISOGNO naturale ed universale dell’uomo.
2)     La teoria assiomatica della proprietà tende a farla derivare da azioni specifiche dell’uomo: occupazione e/o lavoro. Presuppone un ordinamento giuridico. Qui siamo in presenza di un diritto molto più “primitivo”.
3)     La teoria legale della proprietà si basa sulla validità degli atti giuridici che hanno prodotto la proprietà. Anche in questo caso si guarda all’ordinamento giuridico (successione – compravendita – acquisto).
4)     Chiesa Cattolica: la proprietà è un diritto naturale, ma l’uso deve conformarsi al bene comune. L’uso deve avere un beneficio socialmente accettabile: la proprietà deve essere considerata come “mezzo” e non come “fine”. Questa comporta tre obblighi:
a.     L’obbligo morale di fare fruttare la proprietà;
b.     Rendere produttivo il procedimento in modo che sia utile al bene comune;

c.     L’obbligo morale a provvedere al sostentamento dei meno fortunati (Tomaso d’Aquino).

Nessun commento:

Posta un commento